Dati alla mano, il presidente dell’associazione “Roma per tutti”, Fabrizio Del Monte, commenta la difficile situazione delle aziende romane
Quanti dei negozi che c’erano dieci anni fa ci sono ancora? E quanti di soli cinque anni fa? A.L., un negoziante di una via del quartiere Montesacro mi faceva presente che, negli ultimi sette anni, le attività commerciali appartenenti al suo stesso edificio ed a quello adiacente sono cambiate ben nove volte! Questo mi fa pensare alle nove persone che hanno deciso di intraprendere l’avventura dell’autoimpiego. Molte di queste persone, purtroppo, sono andate ad alimentare quell’economia che solitamente definisco di “startup”: ogni volta che vediamo chiudere una saracinesca per cambio di attività, ci troviamo quasi sempre di fronte alla morte di un’azienda. E quando i negozi aprono e chiudono in continuazione, il problema è divenuto un fenomeno sociale diffuso, un’epidemia nell’intero mercato locale.
I dati della Camera di Commercio relativi alle statistiche consolidate del 2010 rilevano che la provincia di Roma è quella con il più alto numero di imprese (prima nella lista con 443.018 imprese, seguita dalle 356.902 di Milano). Dobbiamo però riflettere su quella che può essere definita la “sintomatologia” del nostro mercato locale. Considerando il totale delle imprese attive sul territorio, poi parte del settore del commercio ed anche quello della ristorazione si rileva che, le imprese individuali sembrano in generale essere quelle che godono di maggiore vitalità, con tassi di “attività” vicini al 98% in tutti i settori, mentre le società di persone si collocano al 76% nel settore ristorazione, a fronte di un 65% nel settore del commercio, ed addirittura un 61% a livello di tutte le imprese dell’intera provincia di Roma. Le società di capitale hanno poi un tasso di “attività” pari all’80% nel settore della ristorazione, che scende al 69% nel commercio e si riduce fino a toccare un valore del 59% a livello complessivo. La frammentarietà di questo quadro rende ancor più difficile trovare delle politiche comuni da cui se ne possa trarre un vantaggio collettivo, aggravato dal fatto che il turnover delle imprese è molto elevato.
Tornando ai negozi di quartiere… sono realtà in “stallo”, persone immobilizzate fra quanto hanno investito e la non convenienza a chiudere, situazioni di letargo in cui si sopravvive mantenendo le spese correnti al minimo. Chi ha risorse di famiglia le consumerà e potrà resistere più a lungo, chi non ne ha andrà ad alimentare il “mostro-mangia-economie di startup”.
In questi luoghi si cova un male, il feroce flagello della nostra economia: l’evasione fiscale. I prelievi fiscali sempre maggiori, oltre a ridurre le energie proprie dell’attività commerciale, riducono ulteriormente i flussi di spesa del consumatore, e molto spesso le attività devono ricorrere a quella che definisco “autodeterminazione dell’imposizione fiscale”. Il tutto favorito da un sistema nazionale basato sull’azione punitiva, piuttosto che sulla capacità preventiva di controllo.
Ai lettori le conclusioni, ma sono certo che d’ora in poi, quando si starà varcando la soglia di un negozio, si avrà maggiore consapevolezza e piacere nello spendere bene… e nel richiedere lo scontrino alla cassa!
Daniela Paties Montagner