Non è solo un modo di spendere i soldi o un vizio: andare al ristorante fa bene all’animo, perché è un’occasione di convivialità, tipica della nostra cultura italica: il buon relax – si sa – a volte è starsene seduti in una trattoria, facendo quattro chiacchiere con la propria famiglia, in coppia, o semplicemente con gli amici serviti e riveriti, mangiando prelibatezze uniche e specialità tipiche. Ma in tempo di crisi tutto cambia, mangiare fuori casa anche solo una volta alla settimana, diventa un lusso per molti. E i ristoratori accusano il colpo. Tra questi, c’è chi racconta cosa vuol dire fare questo mestiere oggi – a Roma – come Andrea Pandolfini, titolare del locale “Toro Seduto” presente da sette anni in via Jacopo Sannazzaro, nel quartiere Montesacro.
«Tanta fatica, troppe difficoltà, troppi impedimenti, è più il tempo che si dedica alla burocrazia, che quello impiegato all’attività vera e propria per come si intendeva questo lavoro una volta: fare la spesa, ricercare e offrire i prodotti migliori e economicamente vantaggiosi al cliente. Ogni cosa che vuoi fare ti tocca andare a chiedere il permesso, aspettare tempi lunghissimi per risposte sia positive che negative. Per fare il gazebo all’aperto, con tanto di tavoli ci ho messo tre anni, menomale che io sono caparbio e alla fine mi hanno dato ragione su tutte le contestazioni fattemi in sede di richiesta (troppo in prossimità di un incrocio, occupazione del parcheggio, etc…) e poi in altri tre anni l’occupazione di suolo pubblico è più che raddoppiata. Ho iniziato che pagavo 3mila euro e ora siamo arrivati a 6mila. Oggi è quasi una remissione. Ne risente tutta l’azienda».
I clienti vengono lo stesso a mangiare il sabato sera, o nel week-end? «Molto meno di prima.
Nell’ultimo anno si è sentita parecchio la crisi. La gente esce poco rispetto a prima. A tavola sono più attenti – spendono di meno – il supplì lo dividono, così come il dolce, o la pizza ordinata, che è quasi sempre e solo ‘margherita’, ‘Napoli’ o ‘marinara’. Una volta quando si andava al ristorante si faceva il pasto completo: antipasto, primo, secondo e dolce. Oggi, con la scusa della dieta, si cerca di contenere i costi. Una pietanza la si elimina e un’altra la si condivide».
Qual è il vostro piatto forte?
Noi siamo ristorante, pizzeria e bistecche ria. Ogni reparto ha il suo piatto forte. Per la pizza ci fanno tutti i complimenti perché è la vera pizza romana, bassa e sottile. Ma facciamo anche quella napoletana, non aggiungendo semplicemente due palline all’impasto, per renderla più alta, ma lavorando appositamente il prodotto, perché qui da noi, la cura e l’attenzione alle tradizioni, vengono prima di tutto.
Che impressione si è fatto di Roma?
I miei genitori erano albergatori a Rimini, quindi io ho iniziato a lavorare in albergo, poi ho fatto altre cose e mi sono lanciato nella ristorazione che è un settore molto simile. E’ stato bello sperimentare questo mestiere a Roma, città dove secondo me si parla tanto di politica – argomento molto sentito qui – rispetto che nelle altre città d’Italia. Politica locale e nazionale, politica in genere. Sembra che se vuoi fare qualsiasi cosa devi conoscere qualcuno. Sento forte la celebrazione del rapporto clientelare.
Cosa vuole dire ai suoi clienti? Ciao a tutti, vi aspettiamo al più presto per assaggiare una delle nostre fiorentine, e piatti del giorno come carbonara e amatriciana.
M.L.