La riforma del lavoro:”una sfida umana contro il tempo”
Le trasformazioni che ci hanno accompagnato nel recente passato nel mondo del lavoro e non solo ci impongono due interrogativi:
La strada percorsa era quella giusta? Nell’ipotesi negativa, quanto tempo abbiamo per cambiare direzione? Lo scenario mondiale nell’ultimo quarto di secolo ha profondamente modificato gli equilibri politici ,economici e sociali. L’avvento di una troppo frettolosa aggregazione europea, inoltre, ci ha consegnato un presente dai contorni inquietanti ed un futuro inimmaginabile. In questo clima di assoluta incertezza ci si guarda indietro e ci si chiede quali siano stati gli elementi che abbiano portato a questo stato di cose. Forse sarebbe meglio chiedersi cosa non sia stato fatto per fermare quei meccanismi speculativi che si sono impadroniti delle nostre economie. Chiaramente gli esiti di questi fenomeni sono stati assai diversi a seconda delle culture radicate nella storia di ogni singolo stato. La storia ci insegna che tutti i cambiamenti,soprattutto quelli repentini,comportano necessariamente delle turbolenze di assestamento che possono durare anche decenni. Chi conosce l’economia sa anche che ogni governo centrale, e non ,deve necessariamente vigilare attivamente sugli effetti prodotti da questi passaggi. In Italia la politica in generale ha provato qualche timido tentativo ,peraltro non riuscito,di cambiamento che purtroppo ha presentato il conto ,facendo strada ai “tecnici”. È indubbio che la nostra economia, ormai malata da molto tempo ,non può essere guarita con una ricetta ben precisa. In tali situazioni poi,ognuno si scopre “professore della materia” non conoscendo neanche la differenza tra domanda ed offerta ,ma soprattutto ignorando un principio fondamentale: L’economia non è una scienza esatta ma è un insieme di comportamenti umani che determina certi risultati”. Il mondo del lavoro, che nella sua totalità soffre di un malessere diffuso da diversi anni,è carente proprio dell’elemento umano . In Italia i governi politici si sono adoperati a più riprese nel riformare il mondo del lavoro scontentando per motivi diversi tutte le parti sociali. Un esempio calzante: Quanto è stato speso dalle aziende nella sicurezza sul lavoro? Quanti morti bianche continuano ad esserci seppur con qualche miglioramento rispetto alla mattanza di qualche anno addietro? Questo è l’esempio più estremo e visibile,ma quanti casi di mobbing,dequalificazione professionale ed altre mortificazioni del genere ,si consumano ogni giorno nell’azienda Italia, che non verranno mai denunciate e che ci danno la misura del livello di inciviltà raggiunto? Eppure esiste una classe imprenditoriale cieca e sorda che indica, come il male dell’economia, e quindi come mancanza di profitti, la rigidità del mercato del lavoro per poi arrivare a dimostrare addirittura l’inopportunità dell’art.18 ,ultimo baluardo da abbattere per poter finalmente concorrere liberamente con le economie emergenti che a loro volta, oltre ad avere creato una pessima qualità nei prodotti e servizi indegni per un paese civile ,hanno di fatto inventato nuove forme di schiavitù. Orbene,sarebbe opportuno rivolgere queste domande a quegli imprenditori ed ai loro dirigenti che ne assecondano le disposizioni:quanto è stimolante sapere che il proprio lavoro viene remunerato 5 euro l’ora?cosa si prova ad entrare in banca ed essere giudicati clienti a rischio? Cosa si prova con un reddito mortificante a dover necessariamente ricorrere al mezzo pubblico, sapendo che l’automobile è un bene per pochi eletti?Cosa si prova a dover stare necessariamente in salute per non aggiungere altre penalizzazioni al proprio reddito?Cosa si prova ad aver superato la soglia dei cinquant’anni ,sapendo che l’azienda preferisce sfruttare i giovani? La risposta più facile a tali quesiti è la minaccia di dislocazione delle aziende in aree del mondo più disponibili ad accettare lo sfruttamento del lavoro ,come se non fosse già abbastanza umiliante aver costruito i guadagni passati anche sulla privazione dei diritti più elementari dei propri dipendenti. Il pericolo più imminente è rappresentato dal crollo dei consumi interni e questo stato di cose potrebbe attirare in questo paese ,ormai vecchio, senza idee, senza entusiasmo nelle nuove generazioni ,in balìa di politici inadeguati e sempre più spesso menzogneri ,capitalisti senza scrupoli, anche stranieri, in grado di allontanare ulteriormente l’Italia dall’Europa. Se rivolgessimo l’attenzione ai “protetti del mondo del lavoro “, quelli che sono un peso per l’economia, la sinfonia sarebbe diversa ,ma la musica non cambierebbe. Sono coloro che rappresentano l’ imponente macchina statale,che sostengono il peso dell’imposizione fiscale pur avendo contratti quasi sempre bloccati insieme agli scatti di anzianità, coloro che hanno come unico strumento coercitivo per la produttività i tornelli agli accessi dell’azienda o i blocchi nell’utilizzo del pc e che non vedono l’ombra di un dirigente a sostenerli nel tracciare percorsi di crescita o di sviluppo professionali. Non molto tempo addietro, questo apparato pachidermico e fastidioso per tanti imprenditori rappresentava la mucca da mungere. Oggi che il latte si è esaurito la mucca và abbattuta. È giunto il momento di riferire alla classe politica ,imprenditoriale e dirigente che non è possibile ribaltare le proprie incapacità di assumersi rischi e responsabilità ai lavoratori dipendenti, che costituiscono l’ultimo e più debole anello di una catena ormai sfilacciata. Quanti di questi personaggi ,che vivono arroccati nel proprio benessere costruito in un clima sicuramente più favorevole rispetto alle altre economie occidentali, dove politici imprenditori e dirigenti assumono su di loro rischi ed oneri,sanno cosa sia un ciclo produttivo?quanti di loro conoscono realmente l’azienda? Cosa rispondono alle piccole medie imprese italiane che finora hanno tirato avanti nel sommerso solo perché non erano appoggiate dal sistema bancario e dal mondo della politica. La classe politica deve rendersi conto che andiamo incontro a tempi in cui ci sarà sempre meno spazio per gli abusi, i privilegi ed espedienti. Il “giocattolo”, che finora si è nutrito di inutili sacrifici ottenuti spremendo le fasce sociali più deboli, è giunto al punto di rottura e sarà difficile anche per i “tecnici” ripristinarne la funzionalità originale,se non si cambiano immediatamente, con coraggio e responsabilità, mentalità e cul
tura del lavoro,ma soprattutto, se non si creano nuovi spazi per immettere nuove risorse in campo scollegate dai poteri forti.
Alessandro Riccio Cobucci