Il cammino dell’umanità dalle tenebre della preistoria ha portato l’ uomo verso il rischiaramento e la ragione, ma l’ animo umano nel profondo della sua istintività è rimasto il medesimo.
Quando la “fortuna” volge le spalle a chi spesso a questa sembrava ricorrere con il plauso generale degli adulatori per il successo ottenuto, ecco che allora l’animo umano si rivela e si esprime secondo la propria natura.
Fedro espone simbolicamente il concetto con l’ amara nota favola del leone morente che allude all’ angoscia del decadimento di una persona importante.
“ Chi perde il potere che aveva prima,
diventa lo zimbello dei vili nella sua sciagura.
Sfinito dagli anni, abbandonato dalle sue forze,
il leone giaceva sul punto di rendere il respiro estremo:
venne il cinghiale con le zanne fulminee
a vendicare con quel colpo un’antica offesa;
poi il toro trafisse con le corna ostili
il corpo del suo nemico.
L’asino vide che si poteva colpirlo impunemente
e lo prese a calci sulla fronte, e il leone spirando gli disse:
“Ho tollerato che mi offendessero i forti indegnamente;
ma dover sopportarlo da te, mi sembra di morire due volte”
Leggerezza o imperiziaIl primo interrogativo sulla valenza del vecchio (si fa per dire ) leone, andrebbe posto su quanta imperizia e quanta mal destrezza il Comandante Schettino avrebbe compiuto la manovra dell’ avvicinamento alle coste del Giglio, rivelatasi fatale.
Vi sono due modi di causare un sinistro; pensiamo ad un sinistro stradale in una gara sportiva come in un rally automobilistico. Il primo è semplicemente essere andato fuori strada per non aver ben calcolato ogni particolare di una curva difficile, o in altri termini, aver perduto il controllo del mezzo per imperizia.
L’altra è quella di essere ugualmente usciti di strada per non aver preso conoscenza sulla apposita carta di un tratto stradale accidentato in una curva insidiosa.
Il risultato è il medesimo ma il concetto è diverso; in quanto, un conto, è la incosciente presunzione della propria capacità in una prova difficile ma affrontata con temeraria irragionevolezza.; altro, è essere andato fuori strada, per non aver consultato con doverosa sufficienza la carta di percorso.
Non tutti sanno che anche Cristoforo Colombo fini per schiantarsi con la Santa Maria su degli scogli perdendo la sua stessa nave ammiraglia.
Che Schettino fino all’impatto nelle secche del Giglio sia stato un comandante coraggioso e consapevole della sua stessa capacità, non vi è dubbio; capacità, considerazione, prestigio che al di là delle apparenze, hanno creato invidia e rivalità tra quei suoi pari che ora non gli risparmiano niente.
L’ intento del ComandanteSchettino è stato di fatto progressivamente abbandonato dall’equipaggio poiché il suo intento, peraltro ben concepito (almeno questo), di riportare la nave sotto costa nelle adiacenze del porto, non avrebbe ammesso iniziative diverse fino al punto di arrivo.
L’unico rimasto con lui è il comandante greco Dimitri Kristidis che avrebbe dovuto prendere servizio il giorno seguente.
Gli altri ufficiali, forse sensibilizzati dalla emotività dei passeggeri, decidono di fatto, di investire del comando l’ Ufficiale in seconda, Roberto Bosio, che paradossalmente si trovava sulla nave come passeggero, esautorando pertanto, altrettanto di fatto, il Comandante Schettino.
Lo tesso Schettino concentrato soltanto a condurre la Concordia sotto costa, dopo aver così deciso, non risponde neppure alle domande che gli vengono rivolte su altro di diverso da fare, se non con parole qualsiasi, come ad esempio: “Va buono”.
Le autonome decisioni La scelta propizia per assumere iniziative ricade su Bosio (anch’ esso come Kristidis fuori sevizio). Bosio è con Schettino in rapporti di diffidenza e quindi, tutto sommato anche di una certa rivalità professionale. Questi, infatti, insieme ad altri membri dell’equipaggio avvia le operazioni di evacuazione nave. Schettino invece, è in ponte, fin dal primo momento concentrato nell’ostinato tentativo di mantenere in assetto di navigabilità la Concordia, anche se i sistemi elettromeccanici di emergenza progressivamente vengono messi fuori uso dalla acqua di mare; acqua di mare che per un una ragione o per l’ altra, non è stata neppure parzialmente svuotata o almeno compartizzata con la chiusura efficace dei settori danneggiati della carena.
Schettino ha un solo pensiero: portare la nave almeno sottocosta, prima di ordinare l’ evacuazione.
Nella disgrazia questa volta, la fortuna è stata che la disposizione di Bosio o degli ufficiali del suo gruppo, ha avuto luogo poco distante da terra; l’ evacuazione dalla nave è avvenuta dalla fiancata destra che progressivamente fuoriusciva dall’ acqua. Ma cosa sarebbe accaduto se ciò che riferisce l’ ufficiale Di lena, risponde alla realtà? “Per i primi quanta minuti la nave è rimasta in assetto. Avremmo potuto agevolmente calare le scialuppe con i passeggeri da entrambe la murate. Saremmo arrivati tutti a terra senza neppure bagnarci”.
Ma per evacuare la Concordia si doveva prendere una decisione di tal genere di gravità subito dopo, non già una devastante esplosione di un potente ordigno bellico, ma dopo lo sfregamento di una secca ad una nave dalla solidità della Concordia. Incompetenza o mala fede?
L’ illogica risoluzione Per quale mai ragione al mondo un Comandante doveva disporre in mare aperto l’immediato abbandono di una nave da 136.000 tonnellate di stazza, lunga oltre trecento metri con oltre quattromila persone a bordo, senza aver prima verificato, con l’ ausilio di tutto l’ equipaggio (già designato alle operazioni di sicurezza), la qualità e quantità dei danni riportati e prima ancora di aver eseguito, almeno le fondamentali manovre di emergenza per valutare lo stato di navigabilità della Concordia?
Soltanto per questo riscontro sarebbero sicuramente trascorse alcune decine di minuti.
Iniziate così, le operazioni di evacuazione da entrambe le fiancate, come Lena auspicava, resta da chiedersi quanto sarebbero durate e che cosa sarebbe avvenuto quando in piene operazioni di imbarco al largo della costa, di notte, praticamente al buio, con la nave in movimento con motori spenti ma senza possibilità di fermarla, si fosse bruscamente inclinata sul fianco in mare aperto?
La manovra Quando finalmente per la residua forza inerziale delle sue 136 mila tonnellate di stazza, la Concordia si presenta davanti alla costa del Giglio, prima ancora di arrivare sullo scoglio dove attualmente si trova, l’ ordine del comandante di gettare a mare l’ ancora di dritta, vincola la nave ad una magistrale rotazione di 180° che termina adagiandosi con la carena sulla secca.
E’ quindi pretestuoso sostenere che solo il caso ha determinato il buon esito del naufragio in quanto una nave senza motori non poteva essere governata.
La realtà è invece che il Comandante Schettino, proprio durante la sua apparente estraneità dopo il catastrofico impatto sulla secca, ha fatto quanto di meglio si poteva fare, accompagnando, la Concordia gravemente danneggiata, praticamente sulla terra ferma.
Chi era Schettino
Non è eccessivo dire, neppure adesso, che sono stati il coraggio e le qualità professionali che, non a caso, hanno fatto ricadere su Schettino la scelta del comando della Costa Concordia. Ma Schettino non era neppure un temerario, in quanto tra le sue capacità professionali vi era anche quella di non oltrepassare il senso di prudenza che in mare si deve sempre mantenere.
A questo punto per meglio valutare la caratterialità del Comandante Schettino che sembra oscillare tra contrapposte tipologie, giova fare una rapida considerazione.
Le apparenti contraddizioni comportamentali del Comandante Schettino se non vengono ricondotte alle condizioni del contesto di cui egli fa parte, porterebbero immancabilmente di fronte ad una personalità dissociata, imprevedibile e ripetutamente pericolosa.
Se di questo si fosse trattato, ben prima della sciagurata manovra tra le insidiose secche del Giglio, gli equipaggi delle varie navi condotte da Schettino nel corso della sua carriera di Comandante, le centinaia di migliaia di passeggeri da lui trasportati, e i relativi sevizi della Vigilanza di bordo, avrebbero manifestato in tempo utile alla Compagnia di quale pasta fosse fatto il Comandante Schettino.
La codardia La grave accusa di codardia che gli viene rivolta, non solo coinvolge la sua persona nella circostanza del sinistro del Giglio, ma dalla disinvoltura con la quale gli è attribuito ogni difetto, sembrerebbe che per salire ai vertici del prestigio della marina mercantile con il Comando della Costa Concordia, nessuno avesse ben valutato prima, le sue qualità umane e professionali.
Un capitano che abbandona la nave per salvarsi, lasciando a bordo altre persone in pericolo di vita, è sicuramente un codardo. Ma è questa la condizione di Schettino? O non è piuttosto, quella di un Comandante esautorato dall’equipaggio (che arbitrariamente ha anticipato l’evacuazione della Concordia) ma che malgrado tutto, ha portato la nave in quelle condizioni praticamente fino a terra, rendendo dal quel momento, estemporanea ogni urgenza vitale per tutti i traspostati? Quale precedenza vitale avrebbe scavalcato il Comandante Schettino quando la Concordia era ormai in secco tra fondo e scoglio?
Coloro che lo hanno conosciuto lavorando insieme a lui, lo definiscono ”un grande professionista”, “un comandante preparato”, ”un uomo mai arrogante, con tutti, “un marinaio abilissimo nelle manovre”.
L’episodio di MadeiraUno dei responsabili della ristorazione del 4° Ponte della Concordia, Fernando, racconta quanto avvenne durante la navigazione.
“Stavamo navigando in Atlantico da Tenerife alle Canarie all’isola di Madeira. C’erano altre navi in quell’area, ma Schettino è stato l’unico a interpretare correttamente i dati meteo e a capire che stavamo andando incontro ad una bufera. Tra le proteste dei passeggeri, ha cambiato programma; è rientrato nel Mediterraneo e ha fatto rotta su Malaga.
Chi non ha fatto come noi si è ritrovato con mare forza 10. e una nave della Royal caribbean ha avuto 300 feriti a bordo. Questo è Schettino. Non mi spiego perché sia sceso dalla nave. Al mattino, all’imbarco dei traghetti era completamente fuori di sé”.
Il ComandanteDi contro, un episodio opposto dimostra una professionalità a tutto campo, quantunque riportato a verbale dall’ Ufficiale di Coperta Martino Pellegrino, non certo a difesa del Comandante della Concordia. Al di là delle sue stesse intenzioni Pellegrino pone invece, in chiara evidenza non già la sconsiderata improvvisazione di Schettino ma la sua abilità professionale nel trasformare una situazione giudicata pericolosa da altri, soltanto in una impegnativa manovra di comando e coordinamento che è stato capace di compiere senza problema alcuno.
Nella sua intenzione, infatti, riferisce che Schettino ha messo a repentaglio una prima volta la nave carica di passeggeri. Quel giorno la Concordia è all’ancora nel porto di Marsiglia. Il vento soffia tra 50 e 60 nodi. Una tempesta. “Ci radunò sulla banchina e ci informò che saremmo usciti comunque nonostante quel vento. Ci fu un silenzio agghiacciante. Ci guardammo tra di noi, ma non avremmo la forza di parlare. Poi ci ordinò di ispezionare i respingenti della banchina per assicurarsi che tenessero” Quel giorno la manovra è spericolata. La Concordia lascia la banchina con le macchine avanti tutta facendo leva proprio su quei respingenti come fossero una molla”
E adesso …Ritornando agli approfittatori della disgrazia altrui, la storia si ripete, questo è il momento propizio per colpire il “Leone morente” Adesso dal cappello a cilindro dei prestigiatori della realtà esce di tutto: dallo sciacallaggio mediatico, ai comitati delle presunte vittime di danni ecologici, fino ad una madre in cinta che dichiara con l’ aiuto delle solite pelose complicità di aver perduto il figlio che portava in grembo.
Ma è mai possibile che tutti, o quasi, disconoscono soltanto adesso le reali capacità professionali che avevano fatto del Comandate Schettino la massima espressione della Marina mercantile italiana?