Che belli quei momenti in cui avrebbero potuto raccontarci qualsiasi cosa, anche che la luna fosse di carta e noi ci avremmo creduto, perfino rimanendo a bocca aperta… È talmente bello – sembra dirci sornione e avvolgente il testo di Andrea Camilleri – è così rassicurante credere a quello che gli altri ci vorrebbero far credere che forse, in una morbosa ricerca del rivivere il momento magico dell’infanzia, si finirebbe quasi per cadere dalla tentazione direttamente nell’errore e, se il lume della ragione e la fortuna non ci dessero una mano, finiremmo per assaporare l’amaro oblio delle cose e di noi stessi. Difficile resistere al canto delle sirene. E in più Montalbano non sembra nemmeno avere le prerogative di Ulisse sebbene abbia con sé, come l’antico eroe greco, dei fedelissimi compagni di navigazione ai quali affidare la comprensione del proprio spirito smarrito permettendo che, di tanto in tanto, lo incatenino ad una realtà dalla quale egli stesso vorrebbe fuggire. Nino D’Agata si cala con disincantata naturalezza nel ruolo del commissario Montalbano interpretandone e sublimandone i lati deboli, il fine umorismo, la scanzonata onestà intellettuale e la capacità di empatia e commozione nel rispetto delle altrui vite.
Nino, che cosa si prova a vestire i panni del commissario più famoso d’Italia e per di più in teatro?
“Per me questo è un piacevole ritorno in quanto avevo già interpretato Montalbano nella “Luna di carta” prodotta dallo Stabile del Giallo cinque anni fa. In realtà, il personaggio è scritto così bene che non si fa fatica e le cose vanno subito nel verso giusto.”
Anche modesto… Che cosa è cambiato dall’edizione di cinque anni fa?
“Lo spettacolo è cresciuto, migliorato sotto molti aspetti, la compagnia si è rinnovata e abbiamo trovato uno stato di grazia che ci accompagna in tutte le repliche. Devo comunque dire che anche cinque anni fa la messa in scena era stata fortunata e ricordo che dopo il nostro debutto la rai decise di produrre “La luna di carta” anche in versione televisiva mentre in un primo momento la storia non era stata scelta.”
Danza D’Agata-Montalbano, trasportato ora dalle dolci effusioni di una bionda e audace Venere (Linda Manganelli), ora dalla furia di una Erinni flessuosa e seducente (Anna Masullo) disposta a tutto pur di proteggere il suo campo affettivo, ora dalla visione di Paola la “rossa” (Maria Teresa Pintus), inquietante e ambigua figura femminile capitata a sorpresa a confondere ulteriormente le acque. Danzano anche gli Dei, invisibili complici del difficile destino dell’”uomo che dubita”, funambolici e incostanti (se si potesse ancora più dell’uomo) che sembrano a tratti sostenerlo e accoglierlo nella calda luce di un sole amorevole salvo poi deriderlo mentre si trova, sconvolto, di fronte alla tempestosa evidenza dei fatti. La verità per una volta viene fuori in tutta la sua limpidezza e, prendendo in prestito il potere della parola, crea brividi nelle schiene degli astanti affermando una antica legge di natura: per amore si uccide.
La scena seria, graficamente asciutta in uno specchiarsi di scale surreali, è in aperto contrasto con il barocco che la Sicilia sempre richiama alla mente ma – come ci spiega la brava regista Maria Luisa Bigai – partecipa invece alla costruzione dei veri luoghi dell’anima dei personaggi, le ombre dei quali, giocando e ingigantendosi dietro i velatini, narrano “l’inenarrabile”: la storia d’amore tra fratello e sorella che, in questo caso, a differenza di quanto per esempio avviene nel mondo Shepardiano, più che di disperata morbosità, profuma di cimitero. Ne sa qualcosa il brillante Fazio (Andrea Ruggieri) inviato controvoglia al funerale della vittima mentre l’irresistibile Catarella (Giovanni Rizzuti) perde e ritrova le sue nottate in bianco lavorando senza tregua sul computer del morto che, a quel punto, sembra essere più vivo che mai nel mistero che lo avvolge. A fungere da contraltare all’estro del commissario, a remare contro, il superficiale PM Tommaseo (Gaetano Lizio) sicuramente più interessato alle indagini sulle forme femminili che a quelle sul delitto e lo spigoloso Dottor Pasquano (Franco Sciacca) il quale, dovendosi per forza confrontare con la morte, si vendica sadicamente centellinando a poco, a poco le sue rivelazioni sugli elementi utili all’indagine.
La cocaina tagliata male, gli scandali delle morti borghesi e dell’eterna ipocrisia della classe dirigente sono di contorno a questo piatto forse un pochino indigesto per certo altolocato perbenismo ma assai godibile per chi sappia apprezzare la capacità di Andrea Camilleri di cogliere nelle cose e negli avvenimenti anche il senso del grottesco e del ridicolo. Non è un caso la riuscita di questa messa in scena davvero straordinaria nella regia, negli interpreti, nel disegno luci, nei costumi, nei bellissimi commenti musicali.
dal 12 gennaio 2013 al 10 marzo 2013
Teatro stabile del giallo
Via Al Sesto Miglio, 78 Roma
info 06 3324 6869
Angelo Sorino