È boom nelle grandi città. Ogni giorno si moltiplicano i negozi che vendono l’e-cig: alla fine del 2012 in Italia erano presenti mille e cinquecento negozi di sigarette elettroniche e si stima che per la fine del 2013 i punti vendita aumenteranno fino a quattromila, per un giro di affari di 300mln di euro. Eppure i pareri sulla sua efficacia sono ancora contrastanti e la legge è lacunosa e imprecisa.
“Fumantia” opera mediante la “Factum Srl”, il marchio è nato alla fine del 2012 e in poche settimane ha aperto sette punti vendita, tra corner e negozi fisici, a Roma, Udine, Ronciglione e Bracciano, per non parlare della vendita online. «Siamo produttori di liquidi e importatori di sigarette elettroniche, pipe, sigari e accessori – spiega Romualdo Lodovici, amministratore delegato della “Factum Srl” – Ci rivolgiamo ad una clientela smaliziata offrendo un prodotto di buona qualità, semplice e performante, ad un prezzo adeguato al periodo di crisi economica».
L’ingrediente principale è una soluzione di acqua, glicole propilenico, glicerolo, aromi e, ovviamente, nicotina: «questo dispositivo elettronico appaga il fumatore grazie alla nicotina e all’aroma – continua Lodovici – La sigaretta elettronica non fa smettere di fumare e io lo ripeto sempre ai negozianti che questa è una falsa pubblicità. Chi vuole chiudere con il fumo, evita di comprare le sigarette. Però può fornire un valido aiuto alla disintossicazione da nicotina. In più le sostanze vengono prodotte e distribuite in Italia nei nostri laboratori di Roma, con la certificazione della Camera di Commercio e secondo il protocollo di controllo HACCP (Analisi del Pericolo e Punto Critico di Controllo), un sistema che previene i pericoli di contaminazione alimentare, che si avvicina a quello utilizzato dalle industrie farmaceutiche e nessuno può affermare con certezza che aumentino il rischio di cancro». Ma l’argomentazione più convincente resta l’aspetto economico e la maggior parte dei clienti italiani guarda soprattutto al portafoglio: un kit e-cig può costare dai 33 agli 84 euro, mentre un comune pacchetto di Marlboro Gold costa cinque euro: «la spesa iniziale è più alta, ma mensilmente il risparmio è di un quarto rispetto all’uso di una sigaretta normale».
Comunque sia, pare che le polemiche sorte negli ultimi mesi riguardino piuttosto la possibilità di scoppio della batteria: a fine 2012 sono stati stimati in Italia quattrocentomila fumatori che possono corrispondere a circa il doppio di e-cig, e sono stati due i casi accertati di scoppio. L’hardware, la componente elettronica del prodotto, è un’invenzione cinese, protetta da un brevetto internazionale e quindi obbligatoriamente importata dalla Cina, dotata comunque della certificazione della Comunità Europea e della direttiva RoHS (Restrizione di Sostanze Pericolose). Dunque l’importatore può incidere solo nella scelta della qualità del materiale. Proprio dall’hardware dipenderebbe, però, il pericolo che la sigaretta ci esploda letteralmente tra le mani: «la sigaretta è costituita da una batteria a ioni di litio come quella di un I-phone, oltre ad un’altra parte che nebulizza il liquido – spiega Lodovici – questo significa avere una potenziale bomba in mano: trattandosi di un apparato elettronico può avvenire una reazione chimica all’interno della batteria, che sfugge al controllo dell’elettronica, ma non esistono statistiche in merito».
Attualmente in Italia la vendita è ancora consentita, con esclusione ai minori di 16 anni, e il Ministero della Sanità ha chiesto l’intervento dell’Unione Europea, che sta già lavorando a una disposizione legislativa anche se per la fine dei lavori ci vorrà ancora qualche mese. Il mercato comunque è selvaggio, tutto è in balia dell’etica del commerciante e si è aperta una guerra tra i Monopoli di Stato e i produttori delle sigarette elettroniche. Secondo Romualdo Lodovici i controlli sono giusti ma urge una normativa che regoli il mercato: «da quando l’Agenzia delle Dogane ha incorporato l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, hanno iniziato a bloccare l’importazione della merce per motivi incomprensibili, come se fosse un gioco di strategia. Insieme all’Associazione nazionale di fumo elettronico, vorrei ribadire allo Stato l’urgenza di una legge nel settore, elaborata insieme ad esperti e commissioni ad hoc per evitare che chiunque commercializzi i liquidi». Floriana Barone