“Oggi non è giornata’’ è il titolo che il comico Maurizio Battista ha scelto per il suo spettacolo teatrale che in questa stagione ha visto il ”tutto esaurito” al teatro Sistina di Roma. Ad introdurre la scena le note di “Vivere” (“senza malinconia”) canzone del 1937 divenuta ormai immortale. In trentamila sono accorsi a vedere Maurizio, ora a lavoro su un altro progetto: un film con Leonardo Pieraccioni che uscirà entro la fine dell’anno.
“Oggi non è giornata” scritto insieme a Riccardo Graziosi, autore con cui ha collaborato più volte, è l’espressione che più incarna lo spirito con cui Maurizio intende l’attuale momento storico sociale, ricorrendo a questo idiomatico modo di dire e sottointendendo che “ prima si viveva molto meglio”. E’ proprio il confronto con i tempi passati, con le abitudini romane di una volta, il bisogno di raccontare e di non disperdere le piccole cose di un tempo lontano, come l’infanzia degli anni ’60, ad animare i suoi spettacoli: sempre all’insegna della spontaneità e lontani da qualsiasi retorica. Confondersi con il suo pubblico da’ sempre l’impressione di essere ad un ritrovo fra amici. Ci si dimentica che l’attore si attiene ad un copione con il suo modo di raccontare sempre legato all’improvvisazione e all’interazione con il pubblico.
Maurizio nel tuo repertorio non mancano mai riferimenti al passato, aneddoti, storie di vita. Dal ricordo biografico di tua madre, persa troppo presto, una madre anni ’60 con la M maiuscola, alle estati al mare in famiglia, i giochi con gli amici per la strada, la scuola e l’educazione di un tempo.
E’ la nostalgia di tutto questo a farti pensare che ‘Oggi non è giornata’?
Si. Oggi i nostri figli hanno ereditato un mondo di pennette usb, di social network, di finzione. E’ tutto molto cambianto. Una volta, si stava tutti insieme, si scherzava e la sana parsimonia di un tempo, dovuta alle reminiscenze di chi aveva vissuto la guerra, rendeva tutti più uniti e felici di stare insieme. Oggi con il proprio I Phone, quando si va al mare in famiglia, sembra di stare in metropolitana, ognuno per conto proprio. In realtà si è perso il senso della condivisione.
Il tuo legame con la romanità sembra essere tutto per te. Per chi nasce in questa città, avere un forte senso di appartenenza è normale ma saper raccontare e descrivere la romanità non è da tutti. Tu sei eccellente nel descrivere atteggiamenti e modi di pensare della gente di Roma? Come fai a scorgere così nel dettaglio i modi di fare della gente per poi riportarli così fedelmente a teatro?
Talento e dono. Solo questo. Sin da ragazzo ero sempre a raccontare, a scherzare con gli amici. Era molto naturale per me “intrattenere”. Ho sempre avuto un bar e anche questo è stato determinante. Ad un certo punto ho capito che questa mia attitudine a parlare, a scrivere stava diventando un mestiere. Ho iniziato nelle cantine. Tornavo a casa e mettevo sul comodino centomila lire per far credere a mia moglie che mi avevano pagato, e poi dopo anni è arrivato il successo. Io sono riconoscente al mio pubblico ma tutto può finire. Questo è un lavoro precario e montarsi la testa è la cosa più sbagliata che si possa fare. Devo tanto alla gente e cerco di non deluderla, restando coerente anche nel mio stile di vita alla semplicità che si evince dai miei spettacoli.
Arrivi in teatro in vespa. Compri un panino all’alimentari nel vicolo e se gioca la Roma sei un razzo a fare il bis per non perdere la partita. Tutti sintomi di una persona legata alle sue sane abitudini che il successo e la popolarità non hanno spazzato via.
Si, sono molto legato ai miei valori, sono valori antichi: proprio quelli che in questo spettacolo abbiamo messo in evidenza con Riccardo Graziosi, in contrasto con la freddezza dei tempi moderni dove per ridere e sentirsi vivo si ha bisogno del teatro. Non a caso abbiamo deciso di introdurre la presenza di un mimo francese, Monsieur David, proprio per dare quel tocco di mistero e profondità in più. Cerco sempre di portare alla luce modi di dire della gente di un tempo, a volte mi sento un po’come Trilussa a Trastevere (emblema della romanità per eccellenza) quando riporto a galla modi di dire di mio nonno o mio zio che mi sono rimassi impressi nelle memoria. Mi riferisco a quei modi di dire della Roma vera. Non bisogna essere molto didascalici, bisogna raccontare le cose così come sono, perché è la verità a far ridere. Quello che mi auguro per il mio pubblico, è che questo periodo sia di transito e che un giorno non abbiano bisogno di me per ridere. Spero che la gente possa tornare a vivere autenticamente senza farsi condizionare dal vuoto di questo momento storico. Bisogna avere un impermeabile e farsi scivolare tutto addosso.
Difatti il tuo rapporto con il pubblico è di forte empatia, durante i tuoi spettacoli ti confronti, ci parli e soprattutto riesci a captare tutto.
Mi sento un po’ un sensitivo. Non è semplice assorbire anche i malumori della gente e trasformarli in un sorriso. Mi viene da pensare ad un film molto toccante “ Il miglio verde’’. Questo è un mestiere in cui si assorbe tutto. Non è una professione ma un mestiere in cui si è come degli artigiani che costruiscono un momento di leggerezza da condividere, lasciando tutti, me compreso, i problemi a casa.
di Silvia Buffo (da “Il Trastevere “- n. Aprile 2013)