Ricordi? Ti offristi a lui con la speranza di essere depredata, nelle tue forme tanto pesanti quanto generose verso gli uomini. Lui, dal suo canto, in quel ruolo di punta, dove vige una discreta necessità di apparire, rifiutò ripetutamente il tuo invito. Le faceva schifo la carne in eccesso. Per non venire meno alle sue promesse mancate, in uno slancio di amicizia, ti donò al suo amico. Neppure con lui avesti successo, -ma io lo capi molto dopo, lo capi quando la mente dominava sul cuore stanco e deluso-.
Ti restava la prova finale, ti restava di metterti alla prova con me, che ti amavo da sempre. Ti restava di metterti alla prova con me, che vivevo dei tuoi sospiri lontani.
Così quella notte, taciturna e buia, mi chiamasti quieta. Io venni da te, non senza l’imbarazzo della prima volta, anche allora. Ti ricordo pulita e amabile come sempre, nei miei sogni di bambino.
Tu avevi il dono di farmi stare bene. Solo di te vivevo.
Entrati in cucina -quella cucina che iniziavi ad odiare- parlammo del più e del meno -gli occhi miei erano già sazi di te, di ciò che eri-. Fu allora, fra un pianto mal celato e le carezze lievi che ti/mi regalavo, che ti denudasti in un attimo. Io, perché negarlo, io che della tua carne sognavo di madre e bimba, io ti amai senza pudore. Quella notte, una delle poche, tu mi accogliesti come uomo e amante. Amato. Quella notte io ti sentì mia, al pari di quando le stelle facevano brillare i nostri calici colmi di vino rosso, sulla spiaggia ai confini del mondo. Viaggiare, non era poi così difficile.
Oggi ripenso, con tristezza e squallore, a te e al tuo vivere di inganni. Oggi ripenso, con tristezza e squallore, a me e all’orrore del vivere di questo peso. Che la morte mi abbia in gloria. Nel dubbio mi scolo un’altra bottiglia.
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Paolo Congedo
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