ROMA – Il leader della band britannica The Muse in un’ intervista al Sun di qualche giorno fa, ha raccontato che per portare in giro per il mondo i loro concerti-show, si trovano spesso di fronte a grosse problematiche: «Tutte le volte abbiamo delle difficoltà: abbiamo legali e amministrativi che devono discutere con innumerevoli enti locali, con la polizia ed i promoter”. E per riportare solo uno dei tanti esempi più recenti il frontman del gruppo rock, ha svelato al noto tabloid inglese che per l’esibizione dello scorso 6 luglio a Roma, la band ha dovuto pagare una bustarella di diverse migliaia di euro esclusivamente per l’autorizzazione dei fuochi d’artificio.
Poi il rocker ha aggiunto: “Abbiamo anche chiamato la nostra ambasciata per farla discutere con i funzionari locali”.
Il cantante non ha confidato ulteriori dettagli e non ha fatto nomi. Ma le parole contano e una cosa è contrattare, un’altra corrompere.
L’intervista ha sollevato un grosso polverone evidenziando un modo di fare tutto italiano che viene sbandierato nuovamente a livello internazionale.
Le reazioni non si sono fatte attendere. I primi a replicare alle gravi affermazioni di Bellamy sono stati i membri dell’organizzazione, Vivo concerti, che hanno smentito tutto dicendo: “Abbiamo solo pagato le tasse. Inoltre la licenza è stata concessa dalle autorità competenti solo dopo le opportune verifiche che hanno dimostrato che tutto era sicuro e regolare e dopo aver puntualmente messo in atto ed ottemperato ad ogni disposizione di sicurezza e accorgimento tecnico richiestoci, come è successo in tutte le altre città italiane”.
Comunque per maggior chiarezza la Questura di Roma ha disposto accertamenti sul caso e fornirà a breve un’informativa alla Procura sul lavoro svolto della Commissione provinciale di vigilanza sull’ordine pubblico e lo spettacolo, che si sarebbe riunita il 5 luglio scorso per la concessione dei citati permessi.
Ernesto De Benedictis