“I Tarantiniani” come titolo potrebbe facilmente trarre in inganno. Non si tratta di un elogio al cinema di Quentin Tarantino, bensì di un accurato documentario realizzato da Steve Della Casa e Maurizio Tedesco in collaborazione con Manlio Gomarasca sui grandi ispiratori del regista statunitense, ovvero gli esponenti di quel genere che troppe volte la critica italiana ha messo in sordina.
Sono Umberto Lenzi, Enzo G. Castellari, Sergio Martino, Ruggero Deodato, Lamberto Bava, Fernando Di Leo, Riccardo Freda, Marcello Avallone, Alberto De Martino, Piero Vivarelli, gli storici registi del cinema di genere italiano, protagonisti del documentario presentato in prima assoluta venerdì 15 novembre al MAXXI, in occasione del Festival Internazionale del Film di Roma.
Fra gli ospiti d’eccezione alla tavola rotonda organizzata nell’ambito della proiezione, “Il cinema italiano di genere fra ieri e oggi”, spiccano i nomi di Umberto Lenzi, Enzo G. Castellari, Sergio Martino, Lamberto Bava, Barbara Bouchet, Franco Nero, nonché Eli Roth.
Il documentario traccia in maniera pittoresca la storia del cinema di genere italiano, attraverso le brillanti testimonianze degli stessi artisti, dallo spaghetti western al poliziesco, fino all’horror di stampo cannibale, un filone cinematografico tanto sottovalutato quanto importante per la continua formazione di nuovi cinefili.
Non è un caso che tali registi dovessero storpiare il proprio nome e persino i titoli dei film in una variante americanizzata per ottenere visibilità. Le pellicole venivano infatti presentate e vendute come se fossero americane, emblema dell’ipocrisia di un’Italia ricca di talento, ma inevitabilmente masochista. Il problema della perdita di identità di questi registi, assimilati nella cultura d’oltreoceano, si espande dunque alla primitiva suddivisione fra registi di serie A, quali Nanni Moretti, e questi ultimi, eroi-artigiani rimasti troppo a lungo nell’ombra del neorealismo.
Ci voleva proprio l’intervento di un americano come Quentin Tarantino per riscoprire il valore del cinema di genere italiano, rivalutato in maniera eccezionale all’estero, ma ancora sottovalutato in Italia? Apparentemente si. Eppure il Bel Paese continua a rimanere nei cuori degli artisti stranieri, come Barbara Bouchet, talmente innamorata dell’Italia da non averla mai abbandonata. E come Eli Roth, il quale si è ispirato proprio a “Cannibal Holocaust” di Ruggero Deodato per la sua ultima impresa “The Green Inferno”.