L’applauso a scena aperta sarà pure un elemento di distrazione, ma per il pubblico è il modo più immediato per dire all’attore che il messaggio è arrivato. E l’attore dovrà pure interrompersi, ma in quella breve interruzione sente di aver emozionato a dovere. Pare sia un vizio italiano, tra l’altro, ma l’applauso a scena aperta rimane un affidabile indice di gradimento. Sulla base di ciò possono ritenersi più che soddisfatti gli attori del Teatro della Tosse. E non solo applausi: vera e propria ovazione per Puck, a scena aperta e chiusa. Ma Puck parte avvantaggiato: si vedono “Sogni” in tutte le salse e il paggio bizzarro è sempre quello che riscuote maggiore simpatia tra il pubblico. È sicuramente una parte disponibile alle più disparate interpretazioni, ma quella di Gianmaria Martini è certamente una delle più originali. Delle migliori. Grazie alla sua squisita interpretazione e alla lettura che Conte ha dato di questo personaggio. Pochi registi hanno saputo restituire Puck in tutta la sua sensualità e nel pieno dell’ambiguità sessuale che indubbiamente lo caratterizza.
È su questi aspetti che punta Conte. E non solo con Puck. L’ambiguità è probabilmente l’unica cosa certa che determina i rapporti tra questi personaggi. Un’ambiguità perfettamente inserita all’interno dei comuni canoni estetici: nulla appare volgare, perché tutto è naturale. È l’ambiguità propria dell’età e dell’umanità, si potrebbe dire. Per rendere l’idea Conte arriva addirittura a scambiare le parti di Elena e Demetrio facendoli cambiar d’abito, complicando il compito di chi si vuole raccapezzare nell’intreccio shakespeariano.
Ci sono degli spunti che hanno colpito particolarmente la fantasia di Conte. Così prende degli elementi e li estende, li moltiplica. La dimensione metateatrale è rispettata e viene spinta oltre i disegni dell’autore. Oltre alla recitina degli attori rimediati (resa magistralmente, anche quella), Puck, Oberon e il canto di Peaseblossom stabiliscono un rapporto diretto con lo spettatore, fornendo anche didascalie.
La scenografia sembra annunciare uno spettacolo dalle tinte tetre e oscure. In realtà, ha piuttosto il sapore di un gotico ripreso – “anni ottanta” – potremmo dire. Suggestione, questa, confermata da altre scelte: i canti eseguiti da Viviana Strambelli ricordano certi musical di quel periodo.
Conte e la D’Andrea optano per una riduzione importante del copione, ma i tagli sono precisi. Rimane l’essenziale. E lo spettacolo si chiude così come inizia. Il personaggio forma l’informe; finito lo spettacolo, il personaggio è sepolto, tornano i volti senza fattezze.
Elisiana Fratocchi