Con grande piacere pubblichiamo integralmente l’intervista rilasciata in esclusiva da Giovanni Allevi ai lettori di PaeseRoma.
Una lunga chiacchierata con l’enfant terrible che ha lasciato annichilito il mondo accademico con il suo straordinario talento e carisma, un vero e proprio fenomeno sociale e mediatico, che speriamo darà – se mai ce ne fosse bisogno – una visione più chiara della sua grande sensibilità e spessore umano, oltre che artistico.
Credo che, se avrete la pazienza di leggere per intero questa intervista, non potrete che emozionarvi un po’ – come è successo a me – di fronte al talento di un uomo che, a dispetto del grande successo raggiunto, mantiene una così profonda semplicità e umanità. Un piccolo sguardo sul nuovo lavoro Christmas For You e poi immergiamoci tutto d’un fiato nel mondo di Giovanni.
Buon viaggio
– Negli show-case di presentazione di questo nuovo disco, “Christmas For You“, che stai effettuando in giro per l’Italia il calore che il pubblico ti riserva è ancor più entusiasmante del solito.
Pensi che aver scelto canzoni così conosciute, che fanno parte della tradizione, abbia fatto sì che anche chi non ti conosceva in modo approfondito si sia avvicinato alla tua musica?
Sicuramente io e i miei fan siamo accomunati da uno stesso modo di sentire. Dopo la pubblicazione del concerto per violino e orchestra, cioè di una composizione dalla forma molto dilatata, ho sentito il bisogno di tornare ad un ascolto più raccolto e familiare. Sarà per questo che il disco di Natale è stato percepito come un abbraccio caloroso e sereno, un momento di umanità di cui tutti sentiamo il bisogno.
– Hai scelto in modo molto ammirevole di devolvere parte degli incassi ricavati dalle vendite del disco in favore di Save the Children. Come nasce questa scelta?
Credo di aver ricevuto dalla vita più di quanto abbia dato, se penso all’amore inossidabile dei miei fan, che seguono con entusiasmo anche le mie sfide più sperimentali. Per questo ho voluto iniziare a restituire, nel modo che mi è più congeniale.
Inoltre, la distribuzione internazionale di Christmas for you, aderisce perfettamente all’impegno a favore dei bambini di tutto il mondo di Save the Children, e dunque è stato inevitabile mettere insieme le nostre forze.
– Da sempre regali emozioni con la tua musica, ma ora che si avvicina Natale che regalo vorresti ricevere tu?
Mi piacerebbe che questo album davvero riuscisse a migliorare le condizioni, anche di un solo bambino. Non potrei chiedere regalo più grande. Questo pensiero l’ho avuto sin dalla prima nota suonata al pianoforte in studio ed ha accompagnato tutto il percorso della realizzazione del disco.
– Giovanni Allevi sei ormai una realtà della musica contemporanea; ti definisci compositore di “musica classica contemporanea”; di te si sa tutto tra biografie, recensioni, interviste e apparizioni pubbliche. Diploma in pianoforte al conservatorio F. Morlacchi di Perugia nel 1990 con il massimo dei voti e nel 2001 in Composizione al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano; inoltre una laurea in filosofia nel 1998 con la tesi “Il vuoto nella Fisica contemporanea” e l’Accademia Internazionale di Alto Perfezionamento di Arezzo, sotto la guida del maestro Carlo Alberto Neri. Tra l’altro ti sei raccontato profondamente in “La musica in testa” che ripercorre le tappe fondamentali della tua vita fino al 2008. Ma queste sono informazioni già note ai più. Quando però si spengono le luci e si chiude il sipario, chi è Giovanni Allevi quando rimane solo con se stesso? Quello che nessuno vedrà mai, quello che ancora non è stato raccontato?
Quando non sono impegnato nei concerti o negli incontri pubblici, conduco una vita molto semplice, quasi monastica, per nulla mondana. Ho bisogno di silenzio, di assenza di stimoli esterni. Forse sono note le mie idee sulla musica, magari anche aspetti esteriori sulla mia gestualità e i miei capelli, ma ciò che da sempre mi coinvolge totalmente è la composizione musicale. E’ un continuo dialogo col sentire comune ed un contatto entusiasmante con l’immaginazione, un’altalena tra il semplice e il complesso, tra rigore e follia. Ciò che davvero mi ritrovo a sognare, non è l’acquisizione di riconoscimenti o prestigio, non è la fama, ma è quella musica, così diversa da me, vorticosa ed intensa. A volte penso che davvero verrò dimenticato, perchè la mia musica si fa sempre più estesa e libera, non immediata all’ascolto. Penso anche che sia un miracolo che i miei fan mi abbiano seguito fino a qui… Non mi resta che continuare a scriverla mettendoci tutto l’amore e la sincerità possibile.
– Cosa rappresenta per te la registrazione di un album di inediti? Quando ti accorgi di aver impresso per sempre la tua musica, la tua arte, la tua anima, le tue emozioni in maniera indelebile su un supporto fisico, quando realizzi che è finito il disco, qual è la sensazione che provi e in cosa si differenzia invece da quando esegui la tua musica dal vivo nei concerti, sempre espressione di emozioni, ma in modo diverso?
Una volta registrato un disco provo uno sgomento: le mie emozioni, la mia stessa anima vengono condivise, entrano a far parte della vita quotidiana di tante persone, di tutte le età. Perfezionista come sono, è difficile che sia totalmente soddisfatto del risultato finale, e per questo non mi riascolto quasi mai, se non a distanza di tempo dalla registrazione. Ma resto anche sorpreso da ciò che sento! Se qualche anno fa mi avessero detto che avrei inciso un mio concerto per violino e orchestra, non ci avrei creduto. Eppure ora è lì. Tutta la mia vita è così, una continua scoperta, un percorso che sembra non avere senso e che mi svelerà la direzione solo guardandomi indietro.
– Facciamo un piccolo salto indietro: un aneddoto che risale alla tua infanzia, quando tutto è iniziato. Hai detto che in casa tua c’era un pianoforte, che tua sorella suonava e che però a te era precluso, tant’è che i tuoi genitori lo chiudevano a chiave forse per preservarti, proteggerti dal pericolo che la musica poteva rappresentare. Ma un giorno tu trovi la chiave di questo pianoforte e lo apri…Ricordi la sensazione che hai provato in quel momento, cos’hai pensato in quel preciso istante?
E’ stato come mettere le mani nella marmellata. Stavo violando un divieto, ma comporre musica, anche oggi, è così per me. Scrivere un concerto per violino, oppure una fuga o una sinfonia, significa rapportarsi e confrontarsi con forme musicali che appartengono all’olimpo degli dei, già cristallizzati e consacrati all’eternità. Ma io devo mettere le mani in questa marmellata divina: in quel gesto irriverente è celata la mia ebbrezza.
– A proposito della tua autobiografia “La musica in testa” ci sono alcuni passaggi particolarmente interessanti. Il primo, dal sapore vagamente lockeiano, è: “Noi sottovalutiamo la potenza della passività; e ci ostiniamo a opporre la nostra energia a quella dell’intero universo. Invece, se impariamo a fare silenzio saremo in grado di cogliere l’eterna danza che ci circonda”. Un’affermazione che sembra quasi eversiva, vista con gli occhi della cultura occidentale moderna, forse più vicina a dei modelli di pensiero orientale?
Ho bussato a molte porte, ho desiderato degli obiettivi, ma se ne sono aperte altre inaspettatamente, ed ho raggiunto risultati a cui non avevo pensato. Nella mia vita artistica non conta più il rapporto di causa-effetto, essendo il riscontro esterno del tutto imprevedibile. Tanto vale concentrarmi su ciò che amo fare e scrivere, sperando che quelle note raggiungano il cuore della gente.
– Difficilmente l’uomo è capace di osservare obiettivamente il mondo che lo circonda ed è quasi impossibile per un essere umano percepire se stesso se non attraverso gli altri. Quindi la tua affermazione: “Questo è davvero difficile: smettere di sentirci immagine esposta al giudizio degli altri, per tornare al valore della nostra unicità” mi ha fatto molto riflettere. Tu credi che sia davvero possibile riscoprire l’unicità dell’uomo, a dispetto dei giudizi del mondo o credi che non potremmo mai avere una percezione assoluta di ciò che siamo, che saremo sempre ciò che il mondo riflette in noi?
Sono forse uno degli artisti più criticati e giudicati che ci siano. Coloro che lanciano proclami su di me sembrano avere la verità in tasca, eppure io, di me stesso, non conosco nulla. Avere una percezione assoluta di ciò che siamo è un’utopia, ma riconoscerci esseri misteriosi, più profondi ed insondabili di quanto i giudizi tentino di afferrare, è un dovere. In tutti questi anni ho imparato a riconoscere negli altri una sola qualità: il bagliore negli occhi, che è sempre la conseguenza di un’anima sfavillante.
– Temi ricorrenti nella tua biografia sono: solitudine, difficoltà di relazionarsi, sospensione del pensiero cosciente, quasi una sorta di trance, un’urgenza creativa che ti coglie all’improvviso e ti fa isolare dal mondo esterno…
A volte cerco di svagarmi, di uscire con gli amici per una serata in pizzeria, eppure il richiamo della musica è irresistibile. Divento taciturno e mi ritrovo a dirigere con la forchetta un’orchestra immaginaria. Mi capita di pensare come nella musica la totale solitudine creativa sia il preludio di una profonda condivisione emotiva, con tantissime persone. In fondo nella musica strumentale, la mancanza di un testo permette alle note di entrare in contatto con l’anima, e suscitare emozioni, senza alcun filtro, ed io, che sono compresso e un po’ disadattato per natura, trovo in quelle note una salvezza.
– “Paura” è una parola che nomini spesso, viene in mente la paura che dicevi di provare ogni volta prima di salire sul palco: è ancora così? Può rappresentare in qualche modo una paura del giudizio? O è una paura più intima, più “esistenziale” che è tua e che fa parte di te?
Attendo gli ultimi minuti di un concerto di pianoforte solo, non in camerino ma dietro le quinte. Mi siedo a terra a gambe incrociate ed ascolto in silenzio il brusio che viene dal teatro. In quel momento mi assalgono mille paure: riuscirò a reggere l’impatto emotivo di essere vicino al cuore della gente? Come è possibile che la mia musica riesca ad essere significativa anche per l’ultima persona seduta nel loggione? Riuscirò a mantenere la calma, affinché le dita non tremino ed il mio pensiero musicale arrivi limpido e non contaminato dalla mia stessa imperfezione? E’ una storia d’amore! E’ come prepararsi al primo appuntamento con la donna amata. Poi si accende la luce sul pianoforte, e faccio una scoperta sorprendente: il pubblico mi vuole bene, mi avvolge di un calore indescrivibile già da subito. Tutte le mie paure svaniscono all’istante.
– Il tuo pubblico ti adora, ti accoglie ogni volta con un impeto, un affetto e un’empatia più consone a una rockstar. Che rapporto hai con loro? Che cosa rappresentano per te? Ti mette più a disagio o più ti lusinga questo rapporto così forte?
L’affetto del pubblico è il dono più bello, spero davvero di continuare a meritarlo. Vorrei avere mille vite per ricambiare quegli abbracci, per ascoltare una ad una quelle voci…Dicono che il mio pubblico sia “trasversale”: che strana definizione! Le persone che mi seguono sicuramente mi somigliano, hanno un’anima scombinata in grado di produrre freschi pensieri ed immaginazione danzanti. Guardando i loro occhi, mi specchio, colgo sempre un lampo di disordine, un pizzico di follia: sono persone che amano! Mi ritengo davvero lusingato di essere uno di loro.
– “Se una cosa piace a tutti significa che non ha personalità”. Perché secondo te, da più parti e a più riprese, sei stato attaccato, a volte anche in maniera feroce, da una certa parte di critica che cerca in tutti i modi di distruggere o sminuire il tuo talento? A prescindere dai gusti personali per cui la tua musica può essere apprezzata o meno, di certo non si può confutare l’apprezzamento sempre più crescente che riceve…
Perché ho voluto apportare delle innovazioni da molti punti di vista, ad un sistema che non ha nessuna intenzione di cambiare, essendo fondato sull’immobilismo e sul privilegio di pochi. Ma i miei colleghi detrattori non hanno capito che il cambiamento di cui mi sono fatto interprete, è reale, non fittizio, è un’esigenza collettiva. Se è vero che ciò che piace a tutti non ha personalità, allora cosa dire de La Pietà di Michelangelo o La Gioconda di Leonardo?
– “In viaggio con la strega” è un’altra delle tue pubblicazioni: vorresti raccontare a chi non l’avesse letto chi è o cos’è la strega? Ti accompagna ancora nei tuoi viaggi? É una presenza costante o è legata a momenti particolari?
La strega capricciosa è la Musica! Di lei si è detto molto, ma ciò che vorrei sottolineare è che di fronte alle sue improvvise manifestazioni nella mia testa, non ho alcuna scelta. Lei decide quando e come apparire, lei decide le forme ed il grado di complessità dei materiali attraverso cui esprimersi. Per questo ho la sensazione di non essere io a scriverla, ed al suo cospetto mi ritrovo ad essere come uno studente impegnato in un continuo dettato musicale. Da parte mia credo di aver avuto il coraggio di assecondarla totalmente, per far in modo che si esprimesse in libertà; anche se ho la sensazione che, in questi ultimi tempi, lei si stia approfittando un pò della mia dedizione, regalandomi brani sempre più estesi e meno immediati all’ascolto.
– Il 21 dicembre 2008 hai diretto l’orchestra sinfonica de “I Virtuosi Italiani” in occasione del concerto di Natale presso l’aula del Senato durante il quale avete interpretato, oltre che tue composizioni, anche musiche di Puccini in occasione del 150º anniversario della nascita. Gli incassi del concerto, trasmesso in diretta su Rai 1, sono stati devoluti all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma: cosa ha rappresentato per te suonare in un luogo così prestigioso? Al di la’ della soddisfazione artistica e personale, cosa ha significato sapere che in quel momento la tua musica poteva servire ad alleviare, anche se in maniera indiretta, le sofferenze dei bambini?
Io lo ripeterò all’infinito: ho ricevuto da questa vita molto di più di quanto potessi immaginare, quindi è giunto il momento di darmi, di condividere e restituire.
– Recentemente, il 26 ottobre 2013, hai suonato davanti a Papa Francesco in piazza San Pietro, in occasione della Giornata Mondiale per la Famiglia, interpretando l’ “Ave Maria” di Bach/Gounod per pianoforte solo ri-arrangiata da te, insieme ad una delle tue composizioni più amate, “Downtown”. Spiritualmente ha significato qualcosa di importante esibirti davanti a Papa Francesco? Che rapporto hai con la fede e la religione in particolare?
E’ stata un’emozione indimenticabile! Ciò che mi ha colpito, oltre al sorriso del nostro Papa, è stato l’entusiasmo ed il calore di quella folla sterminata, che mi ha fatto dono della sua attenzione. A volte, mentre suono il pianoforte o dirigo un’orchestra, la musica, con i suoi vortici, mi porta via verso realtà misteriose. Nuovi orizzonti insondabili si manifestano a tratti e una luce spazza via il buio che ho dentro. Io non posso negare l’esistenza di una dimensione metafisica, così come è innegabile la profondità dell’animo umano, infinito ed insondabile.
– Cos’è per te il successo, cosa rappresenta? Avresti mai pensato di raggiungerlo in modo così ampio? È una cosa che ricercavi o ti ha sorpreso, ti ha preso alla sprovvista? Ad oggi, a mente fredda, secondo te nasconde più vantaggi o svantaggi?
Ho una mia concezione del successo. Non ha nulla a che fare con la fama o la popolarità. Abbiamo successo quando riusciamo a fare ciò che è conforme alla nostra natura, ciò che ci viene meglio e ci fa stare bene, indipendentemente dal riscontro esterno. Mentre tutti gli aspetti esteriori del successo ne sono una conseguenza. Io desideravo sopra ogni altra cosa comporre la mia musica e portarla su un palco; per molto tempo ho avuto un pubblico esiguo, eppure non mi sono mai sentito insoddisfatto, perché ciò che davvero contava per me era scrivere quella musica. Poi improvvisamente, quando ormai non me lo aspettavo più, è arrivata l’onda di amore della gente, cento volte più intensa di quanto potessi immaginare. L’unico svantaggio è che il mio cuore è troppo piccolo per poter ricambiare tanto amore.
– Chiedi ancora una fetta di torta al cioccolato prima di ogni concerto?
Le star fanno richieste bizzarre per il proprio camerino, più per darsi un tono che per reale esigenza. Nel mio, sul classico tavolino di formica bianca appoggiato allo specchio con le lampadine intorno, trovo sempre della frutta fresca, verdure grigliate, acqua e lei, la torta al cioccolato, l’unico elemento in grado di strapparmi un sorriso in un momento di altissima concentrazione.
ALEX PIERRO