Dal 4 al 6 aprile, al Kopò, si racconta la precarietà con spietata leggerezza. Quando la tragedia non è nemmeno poetica, non invita a essere narrata. Ma i maestri della scena non rinunciano alle realtà più crude. Il comico allora può sopperire alla mancanza di lacrime, che non uscirebbero di fronte a verità che non commuovono più, data la loro consuetudine.
L’esito di un colloquio non è più un semplice responso, ma diventa una conferma di certezze, una speranza di relativa, vagheggiata stabilità. Maggiore importanza si accorda alla risposta, tanto più è estenuante l’attesa. Così, la fila dei due protagonisti all’interno di un’agenzia di lavoro interinale, si fa massacrante. Tanto da favorire la manifestazione di tic e piccole ossessioni che rivelano goffamente le paure recondite di entrambi. I dialoghi si fanno tesi; più che reali, surreali.
Con Michele Vargiu e Giulio Federico Janni, l’opera si serve di grottesco e poco altro: una scenografia minimal basterà a rendere perfettamente la tragedia quotidiana che interessa la vita di molti. Un quadro essenziale porterà alla luce anche il conflitto tra due generazioni, costrette a rapportarsi, ognuna con le sue paure, speranze e miti.
Elisiana Fratocchi