111 anni di storia per raccontare quello che questa moto rappresenta.
Una Harley-Davidson non è solo una moto, è molto di più. Possederne una è un modo di essere; una personalità talmente definita da creare una comunità planetaria che condivide valori e stili di vita. O la ami o la odi. Il marchio, nato nel 1903, è considerato come un vero e proprio simbolo dai bikers.
Ma cosa ha contribuito a tramandare fino ai giorni nostri un marchio che ha incantato il mondo e continua ad annoverare estimatori in tutto il pianeta?
La vera storia della Harley-Davidson inizia nel 1901 quando i compagni di studi William S. Harley, 21 anni, figlio di un emigrante inglese di Liverpool e Arthur Davidson, nativo di Aberdeen (Usa), 20 anni, disegnarono la loro prima idea di motore. Così, come in ogni favola americana che si rispetti, dopo due anni nacque a Milwaukee (in un capanno degli attrezzi grande circa 13 metri quadrati) la Harley-Davidson Motor Co., la cui insegna era una scritta fatta a mano dipinta direttamente sulla porta. Il primo prototipo HD era praticamente una bicicletta motorizzata. Il 28 agosto 1903, data della costituzione della società, si aggiunsero William e Walter, i due fratelli di Davidson.
La produzione partì però molto lentamente e, in quell’anno, furono vendute solo tre moto. Nei quattro anni successivi la produzione arrivò a 150 motociclette. Nel 1907 vi fu l’accordo di fornitura, tuttora in essere, con la Polizia di Stato americana. Ma solo 6 anni dopo la produzione arrivò quasi a 13.000 unità. Nel 1920 la Harley-Davidson era già il più grande e rinomato costruttore di moto al mondo, con una rete vendita presente in 67 paesi e una produzione di quasi 30.000 esemplari.
Dopo il secondo conflitto mondiale la Harley-Davidson contribuì a creare il mito americano in Europa: ricordiamo, ad esempio, che nel film “Un americano a Roma”, Alberto Sordi guida il modello Liberator.
Tra le azioni che hanno contribuito a costruire il marchio-mito ci sono gli eventi creati per celebrare le varie ricorrenze della Harley-Davidson e l’abbinamento a grandi nomi dello spettacolo. Nel 1953 un particolare logo viene disegnato per festeggiare il cinquantesimo anno dalla fondazione: una sorta di medaglione che sottolinea il made in Usa, applicato sul parafango. Nel 1956 Elvis Presley, grande estimatore Harley-Davidson, viene fotografato a cavallo di un nuovo modello.
L’immortalità parte anche dal logo, così è oggi come nel 1910: il Bar and Shield (Fascia e Scudo), è stato registrato legalmente nel 1911.
Nel 1933 parte l’era della nota pratica delle personalizzazioni dell’Harley-Davidson da cui il termine custom, che in inglese significa non solo usanza, tradizione, abitudine, ma – appunto – anche personalizzato, modificato, speciale. Ed è proprio quest’aspetto che caratterizzerà il marchio nell’immaginario collettivo dei nostri tempi. Tutto iniziò quando, per compensare il calo di vendite causato dalla crisi economica di quegli anni, venne apposta la nota aquila sui serbatoi delle motociclette. Questa si rivelò una mossa strategica di successo perché ispirò le molteplici possibilità di customizzazione che ognuno poteva fare alla propria moto.
Tra i valori fondamentali che la Harley-Davidson trasmette c’è proprio l’amore per la libertà e l’avventura, associati alle infinite strade statunitensi, alle sue lunghe distanze coast-to-coast da percorrere, ma anche fratellanza e solidarietà, creando di fatto un’enorme famiglia di cui fanno parte centauri appartenenti a diversi ceti culturali. Architetti, operai, artisti, impiegati, avvocati, metalmeccanici, medici che a cavallo di una Harley-Davidson diventano uguali, uniti da valori inossidabili e da una personalità interiore che travalica ogni classificazione sociale. Il saluto che tra harleysti ci si scambia a ogni incrocio rappresenta non solo un augurio, bensì uno scambio di intesa e di riconoscimento. Un “motociclista custom” non è mai solo: quando si incontrano due biker non c’è bisogno che si presentino: è come se si conoscessero da sempre.
Happy Birthday Harley-Davidson, Ride Free…
ALEX PIERRO