Sono sempre di più i centri sportivi, i circoli privati e le scuole di teatro e danza che ogni giorno si costituiscono come associazioni. Poco importa se vi siano regole da rispettare, rendiconti economici e finanziari da redigere e convocazioni dei soci obbligatorie per comunicare delibere e bilanci. Costituire un’associazione permette a questi veri e propri imprenditori di non pagare un centesimo di tasse. La maggior parte delle volte si tratta di un direttivo composto da parenti di primo grado e di soci che disinteressati pagano il dovuto per la lezione di yoga o pilates senza denunciare le irregolarità.
Il non profit nell’opinione pubblica è sinonimo di solidarietà ed altruismo, ma all’interno del terzo settore convivono esclusivi circoli sportivi e centri per disabili, università private e centri di riabilitazione per ex detenuti. Dietro questa parola si nascondono ristoranti e palestre, cliniche e polisportive con tutto ciò che ne consegue in termini di dubbia utilità sociale, possibili arricchimenti personali, conflitti di interesse, elusione fiscale, rapporti di lavoro insani, concorrenza sleale con le imprese private e con le vere associazioni.
Come funghi nascono sale da ballo, milonghe e scuolette varie che non rispettano neanche i minimi requisiti richiesti dalla legge. Somministrazione di cibo e bevande, cenoni di capodanno con prevendita di biglietti, pubblicità su cartelloni e riviste, mancate convocazioni di assemblee dei soci, bilanci fantasma, sconti sulla quota d’iscrizione, sedi che non rispondono ai criteri di sicurezza, vendita di scarpe da ballo e abbigliamento. Associazioni che in realtà svolgono vere e proprie attività commerciali il più delle volte verso ragazzi e ragazze minorenni.
La Guardia di finanza ha scoperto l’evasione fiscale di un’associazione sportiva dilettantistica che figurava come ente senza scopo di lucro per evitare il pagamento delle tasse e usufruire di regimi agevolati, ma che in realtà gestiva una scuola di danza come una normale impresa commerciale. Al termine degli accertamenti sono stati rilevati redditi non dichiarati per oltre 300 mila euro e Iva non versata per oltre 90 mila euro. Gli allievi erano registrati come soci a loro insaputa e non ricevevano le convocazioni alle assemblee. Da ulteriori controlli è emerso che i lavoratori erano in nero. La sanzione è stata di appena 130.000 euro. Purtroppo di casi così sui giornali se ne leggono pochi.
In Italia le società sportive sono oltre 64 mila mentre i tesserati sono 4 miloni e mezzo, lo afferma la relazione del CONI del 2014. Pare che il governo Renzi voglia mettere ordine nel Terzo Settore e a luglio ha presentato una bozza di riforma, ma come noto in Italia non c’è bisogno di nuove leggi, ma di qualcuno che effettui i controlli e le faccia rispettare.
Inutile contattare l’Agenzia delle Entrate per conoscere quali siano le modalità per richiedere un controllo fiscale. Anche il compartimento polposta della Polizia di Stato, contattato per avviare dei controlli su un’associazione che opera con minori, non ha messo in moto la macchina della giustizia. Lo scopo degli accertamenti non è lo scioglimento dell’associazione, ma il disconoscimento della natura associativa dell’ente e la riqualificazione della stessa come società commerciale.
II terzo settore fa registrare più di 80 miliardi di euro di entrate ogni anno, oltre il tre per cento del Prodotto interno lordo. «Se non distinguiamo tra le associazioni rischiamo di dare benefici a chi non ne ha diritto e invece negarli a chi fa attività della massima utilità sociale», dichiara il sociologo Giovanni Moro che ha scritto il libro dal titolo polemico “Contro il non profit”.
I soliti furbetti che nella giungla delle leggi e testi unici del non profit ci sguazza ai danni degli onesti cittadini che, da bravi dipendenti, invece le tasse le pagano con una tassazione media che ha raggiunto il 45 per cento. Purtroppo questi individui gettano fango sui volontari onesti, costretti spesso a tirare la cinghia per rimanere in piedi a causa della crisi. Difficile cambiare quest’Italia.
di Fabio Galli