Roma, 3 dicembre
Gli scavi per la fermata San Giovani della metro C hanno riportato alla luce il più grande bacino idrico risalente alla Roma imperiale. Nessun altro bacino rinvenuto nell’agro romano ha dimensioni paragonabili.
Il responsabile scientifico degli scavi archeologici del cantiere, Rossella Rea dichiara:«è il più grande bacino idrico che si trova all’interno di un’azienda agricola della Roma imperiale, la più vicina al centro di Roma che sia stata mai ritrovata». Per le sue dimensioni, precisa Rea: «la vasca si estende dalle pareti del cantiere alle Mura, dove probabilmente si conserva la parte mancante, in direzione del piazzale Appio, nell’area interessata della stazione della Linea A. Senza ritrovare, però, alcuna documentazione della sua esistenza, forse andata distrutta».
La squadra composta dalle archeologhe Francesca Montella, Simona Morretta e Rossella Rea spiegano: «la vasca era foderata di coccio pesto idraulico e dalle dimensioni, oggi note, poteva conservare circa 4 milioni di litri d’acqua». È probabile che le sue funzione principali fossero quelle di riserva d’acqua a servizio delle coltivazioni e vasca di compensazione per far fronte alle piene del vicino fiume.
Le indagini archeologiche sono state realizzate dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, con la collaborazione tecnica della Cooperativa Archeologia che ha messo in luce le testimonianze della frequentazione antropica fino a oltre 20 metri di profondità, isolando 21 diverse fasi e dettagliando, per ciascuna, gli eventi naturali e i livelli di organizzazione umana.
Continua Rea riflettendo: «Le informazioni storiche sul settore di San Giovanni erano molto scarse, del resto il territorio ha subito trasformazioni tali da nascondere sotto metri di terreno le strutture repubblicane e imperiali esistenti fino alla fine del III secolo, quando la realizzazione delle Mura Aureliane prima, e l’urbanizzazione del XX secolo dopo, portano alla definitiva obliterazione di ogni volume».
«Lo scavo della nuova stazione metropolitana ha consentito di spingere la ricerca archeologica a profondità non altrimenti raggiungibili. Un’opportunità di ritrovare la storia del territorio e dell’uomo, attivo nell’area dalla fine del VII secolo a. C., quando ha iniziato a occupare le sponde di un corso d’acqua a fondovalle e a percorrere un primo tracciato viario in terra battuta con i carri».
di Donatella De Stefano