di Alberto Zei
Lo “scaricabarile” della situazione – Sono ormai trascorsi tre lunghi anni da quando l’ increscioso quanto assurdo tranello delle autorità marittime indiane hanno indotto in inganno i responsabili della navigazione della petroliera Enrica Lexje. La serie dei nulla di fatto che si sono susseguiti a ripetizione, attraverso interventi delle autorità marittime e consolari italiane hanno solo comportato rivelazioni, smentite e pretese scaturite come da sorta di matriosche. Adesso che cosa ci proponiamo di fare davanti al carosello delle responsabilità che vengono ostentate continuamente dai media davanti a nostri occhi?
Nulla ormai potrà cambiare gli errori commessi, imputando ora lo stallo della situazione al comportamento del Ministro, ora dell’Ambasciatore, ora degli stessi Maro’, ora delle Autorità indiane, ora del Governo, ora di tutti coloro che in un modo o nell’altro si sono adoperati sicuramente in modo fallace, stante i risultati deludenti ottenuti, alla liberazione dei nostri due marinai. Poco ha importanza, infatti, chiedersi adesso quali e quanti altri errori lungo il corso delle trattative sono stati compiuti da parte italiana, in quanto tutto è conseguenza del consueto gioco dello scaricabarile iniziato con il peccato originale: quello della illogicità (ma è un eufemismo) con la quale l’autorità italiana ha ritenuto di aderire ad una assurda e quasi provocatoria richiesta da parte dell’India.
L’inganno indiano – La storia inizia con la reazione del gruppo dei militari a bordo della petroliera Enrica Lexie di fronte ad un più o meno presunto attacco di pirati. L’episodio è ormai risaputo; possiamo sorvolare.
Dopo la sparatoria con l’imbarcazione indiana nelle acque internazionali a 20.5 miglia dalla costa, la petroliera che proveniva dalla Malesia, ossia, da Singapore proseguiva la propria rotta, diretta in Egitto. Dalla figura si può avere un ‘idea della direzione che la nave stava seguendo.
A questo punto arriva dalle Autorità indiane l’ingannevole comunicazione: “Abbiamo trovato un peschereccio con armi a bordo. Avete per caso subito un attacco?” Le navi in zona rispondono di non saperne nulla; ma la Enrica Lexie ammette invece, la circostanza.
Le Autorità chiedono allora al comandante della petroliera di voler entrare nel porto di Kocky per sporgere denuncia del fatto, aiutando poi, le autorità locali a riconoscere il peschereccio che avevano catturato con armi a bordo e addirittura i pirati.
L’assurdo logico – Ora di fronte ad una assurda richiesta di tal genere, scorrelata nel tempo a fronte di un attacco avvenuto in zona ovviamente alquanto diversa dall’area geografica in cui ha sede il porto di Kochy, la petroliera italiana avrebbe dovuto, secondo le autorità indiane, interrompere la sua navigazione in acque internazionali. E tutto questo per poi tornare indietro al fine di un riconoscimento. Ma quale? Magari il profilo di quel battello con un albero forse più colorato o più appuntito di altri? Oppure la faccia delle persone catturate come si trattasse di un riconoscimento salottiero che di solito avviene con i pirati, dove si fa conoscenza e si ricorda anche la fisionomia dei cordiali interlocutori?
L’ equipaggio sarebbe quindi, dovuto andare in porto, decisamente fuori rotta per riconoscere tra un miliardo di persone più o meno della stessa fisionomia, alcuni individui che non potevano essere nemmeno in teoria, ritenuti riconoscibili non avendoli mai incontrati.
La figura evidenzia la distanza del porto di Kochi rispetto al luogo delle scontro. Secondo quel comunicato, l’ India avrebbe catturato un mezzo navale armato, ovvero, una imbarcazione pirata, a fronte di un dispiegamento ovviamente, di uomini e mezzi militari, rimorchiandola successivamente in quel porto distante almeno duecento chilometri.
Resta inspiegabile a questo punto, come il convoglio avrebbe potuto così tempestivamente superare quel tratto di mare.
Dopo però, un’operazione di questo genere, che presuppone misure e applicazioni di norme antiterrorismo e, come detto, di mezzi navali militari, le Autorità marittime indiane chiedono, ad una petroliera straniera in navigazione in acque internazionali di supportare con l’eventuale denuncia, la debolezza legale di un cattura così effettuata dalla marina militare di una stato sovrano.
La petroliera Enrika Lexje seguiva la rotta verso il Golfo di Aden, luogo dell’incidente. Si noti la diffusa segnalazione di pirati che infestavano quei mari – il cerchio rosso comprende la zona dell’ incidente
La serie delle fandonie – Ciò evidentemente in quanto l’Autorità indiana non si sarebbe ritenuta sufficientemente garantita dall’operato dei propri rappresentanti militari circa l’identificazione di una imbarcazione con armi a bordo e con persone già catturate in quanto pirati.
Il comandante della Enrica Lexie pensa bene di avvertire il proprio armatore di ciò che stava avvenendo e quest’ultimo di collegarsi con le Autorità militari marittime italiane per chiedere supporto sul comportamento da tenere.
A questo punto a fronte di circostanze del genere che per l’assurda logica non avrebbero tratto in inganno neanche Cappuccetto Rosso, l’autorità marittima italiana concorda con la richiesta indiana di fare entrare la nave nel porto indicato, interrompendo la navigazione in pieno oceano senza minimamente pensare o voler pensare che qualcosa di diverso si nascondeva di fronte alla puerilità delle motivazioni addotte dal rappresentante marittimo indiano.
Dalla Malesia (Singapore) all’Egitto, la rotta (in rosso) che la petroliera avrebbe dovuto fare quando è stata sequestrata nel porto indiano di Kocki
La valutazione delle Autorità italiane – Non si riesce infatti a comprendere come persone che sicuramente sono all’altezza del compito assunto sulla sorveglianza della navigazione delle nostre navi nel mondo, possono essere così apparentemente ingenui da non avvedersi delle contraddizioni insite nella richiesta e nelle motivazioni a supporto e che sono un insulto all’intelligenza sicuramente professionale delle autorità preposte ma anche al buon senso e alla mentalità abbastanza logica di tutti quanti cittadini. Allora quale è il motivo? Per quale ragione al mondo è stato dato quest’ordine scapestrato e deleterio di aderire ad un inganno nel genere.
Non è quindi l’ atteggiamento dei nostri Maro’ il peccato originale di cui si parla e che non troverebbe neppure riscontro nel comportamento remissivo di fronte al fuoco intimidatorio da bordo della petroliera, dei presunti pirati che anziché invertire la rotta si avvicinano temerariamente ancora alla nave.
Il pregiudizio sul Comandante Schettino – Aleggiava ancora nell’aria in quei giorni, l’eco della condotta del comandante Schettino della Costa Concordia, allorquando per una ragione o per l’altra, al momento decisivo si trovava in luogo diverso da dove invece doveva essere. E forse ancora non si era esaurito neppure l’eco alquanto tracotante dell’addetto al servizio costiero che gli imponeva di ritornare a bordo, come se il problema vitale in quel momento fosse quello.
Non sia mai che qualcuno del pulpito dal quale erano tuonate le dure parole rivolte a Schettino, non si sentisse invece coraggiosamente coinvolto nell’indirizzo del comportamento altrui. Ci riferiamo alla Autorità marittima italiana, preposta alla vigilanza della navigazione delle navi del nostro Paese intorno al mondo a cui l’ armatore della petroliera si era rivolto circa l’ adesione o meno della richiesta indiana. Forse l’ autorizzazione non sarebbe stata data se non si fosse verificato prima il caso Concordia; tanto più che da parte delle autorità indiane veniva rivolto alla petroliera un invito che per la logica stringente dei suoi contenuti, non stava né in cielo né in terra, né nei pensieri razionali di qualsiasi persona all’altezza della situazione.