Regista e sceneggiatore, Francesco Rosi, muore sabato notte a Roma, nel sonno, a 92 anni. Il cinema italiano perde un suo grande protagonista, padre del filone dei film d’inchiesta, che si consacra in “Le mani sulla città”, pellicola-denuncia di collusioni tra gli organi dello Stato e lo sfruttamento edilizio nella sua Napoli e che vince il Leone d’oro. Alla Casa del Cinema di Roma, oggi dalle 9 alle 18, cerimonia civile in suo onore.
Nella capitale, decisivo l’incontro con Luchino Visconti, nel dopoguerra: segna l’inizio della carriera come suo assistente, sceneggiatore e collaboratore (La terra trema). Nella sua filmografia, tanti i capolavori: “Il caso Mattei” che gli conferì la Palma d’Oro, “Salvatore Giuliano” gli aggiudicò l’Orso d’argento. Tanti i premi: Grolle, David e Nastri. Altrettanti alla carriera: la Legion d’onore, i tributi di Locarno e Berlino, il Leone d’oro, nel 2012, a Venezia.
E’ il massimo esponente di un genere originale, dallo stile autentico, vero che da subito sarà seguito e copiato: nuova percezione di realismo che si contrappone allo stile del miglior cinema americano e che negli anni ha fatto scuola e proseliti.
Suo “discepolo” è Giuseppe Tornatore che, invano incita, tenta di riportare sul set il Maestro, come racconta nel libro a quattro mani “Io lo chiamo Cinematografo”.
«Sono stanco. Il mestiere del regista richiede grande energia fisica e non so se l’avrei più» dice Rosi a Sottovoce, trasmissione della Rai, nell’intervista di Gigi Marzullo qualche anno fa.
Maria Anna Chimenti