Ci sono le lacrime dell’attore e le lacrime della persona. A teatro, di solito, si va per vedere le prime. Le seconde si possono apprezzare solo in contingenze particolari, e non hanno prezzo che possa onorarle. Dopo lo spettacolo l’attore, non sempre facilmente, cerca di spogliarsi dei panni del personaggio e di guardare il pubblico con i suoi occhi. Fabio Bussotti, ieri sera, mentre accoglieva gli omaggi del pubblico si è concesso ancora un’emozione. Che la sua commozione a sipario chiuso sia stata favorita dall’intensità della storia è fuori da ogni dubbio e l’atto deve suggerire una riflessione. La gravità e l’importanza del caso Braibanti sono state dimenticate per molto tempo. Il primo caso italiano di condanna per plagio, di per sé, meriterebbe di essere ricordato e approfondito.
La scelta di restituire una voce ai protagonisti di quello scandalo giudiziario risulta, pertanto, più che mai opportuna. Un testo molto toccante viene esaltato dalla recitazione impeccabile dei due attori che si alternano in tutte le parti coinvolte nella faccenda. Bussotti veste i panni di uno straziato e straziante Braibanti. Un ex partigiano, laureato in filosofia, ben inserito e molto apprezzato nelle koinè culturali dell’epoca, il Braibanti esercita un fascino considerevole in molti giovani e non. Uno di questi, Giovanni Sanfratello, godrà in maniera privilegiata di questo carisma. Un tenero rapporto sentimentale legherà i due uomini. Da lì, le ire della famiglia bigotta, fanaticamente cattolica del Sanfratello si scateneranno sull’intellettuale che si troverà coinvolto in un terribile “processo di destra”, così come è stato definito negli anni. In piena contestazione sessantottina una determinata area politica cavalca il singolo caso per bandire libertà ideologica e sessuale. Un processo contro l’omosessualità che ricorda altri casi italiani, a partire da quello più famoso di Pasolini, che come il Braibanti sconta – tra le altre cose – l’estromissione da un PCI, che all’epoca, intendeva guardarsi bene da eventuali accuse di scarsa moralità.
Doveroso lodare la professionalità di Fabio Conte. Il giovane attore indossa con disinvoltura le vesti del fragile Sanfratello; nell’istante successivo si è già calato nei panni dell’impietoso avvocato, e dopo un momento è la mamma, la signora Sanfratello che esegue il pianto dell’ignoranza.
Un’ora di tensione per interpreti e pubblico. Un’ora in cui lo spettatore medio si arrende alla propria misconoscenza della storia. Un’ora in cui lo spettatore medio non sa se ammettere una propria reale ignoranza o se sospettare una voluta damnatio memoriae del caso. Qualsiasi sia la verità, il regista Giuseppe Marini, l’autore Massimiliano Palmese, e chiunque abbia contribuito alla rappresentazione hanno compiuto una scelta doverosa e coraggiosa. Un tributo alla Storia. Un tributo a una storia che nel momento in cui si compiva non lasciava indifferenti i più lucidi intellettuali italiani. “Ignoravo che nella nostra repubblica il libro insegnamento delle proprie idee fosse un reato. Ritenevo fosse reato impedirlo” commentò Elsa Morante.
Elisiana Fratocchi