Roma, 3 febbraio
Dal 4 all’8 febbraio, al Teatro dell’Opera, è in scena il melodramma Rigoletto, diretto dal registra Leo Muscato con Ivan Magrì, George Petean, Irina Lungu, sostituiti rispettivamente il 5 e il 7 febbraio da Yosep Kang, Giovanni Meoni e con Claudia Boyle, Marco Spotti, Anna Malavasi, Marta Torbidoni, Carlo Cigni, Marco Camastra, Pietro Picone, Leo Paul Chiarot, Michela Nardella, Marika Spadafino e Francesco Luccioni. Direttore Gaetano d’Espinosa, Maestro del Coro Roberto Gabbiani, Scene Federica Parolini, Costumi Silvia Avmonino, Luci Alessandro Verazzi e l’incanto dell’Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera.
Nel ducato di Mantova in epoca rinascimentale, Ivan Magrì nelle vesti del duca, libertino e incostante, dà una festa. Mentre si allontana al braccio della contessa di Ceprano, interpretata da Michela Nardella, il buffone di corte, il baritono George Petean in Rigoletto, sciancato e maligno, si fa beffe della gelosia del marito della contessa. Il cavaliere Marullo, interpretato da Marco Carnastra, rivela agli invitati che il buffone ha un’amante e Leo Paul Chiarot nelle vesti del conte di Ceprano intravede la possibilità di vendicarsi. Entra nella sala il vecchio Carlo Cigni nel conte di Monterone, il quale, venuto a chiedere ragione al duca della figlia sedotta, finisce in prigione: anche di lui Rigoletto si fa beffe e Monterone lo maledice.
Il buffone si incupisce. Ha una figlia che ha tenuto nascosta a tutti, e in particolare al duca libertino: è lei “l’amante” di cui parlava Marullo. Il borgognone Sparafucile, interpretato da Marco Spossi, offre a Rigoletto i suoi servigi di sicario. La sorella Maddalena in Anna Malavasi adesca le vittime designate, attirandole in casa, dove lui può eliminarle senza rischio. Ma Rigoletto per il momento non ha bisogno di un sicario. Alla figlia Gilda, interpretata da Irina Lungu, e alla cameriera Giovanna in Marta Torbidoni, raccomanda di non fidarsi degli sconosciuti e di tenere sempre sbarrata la porta di casa. Ma un giovane, con la complicità di Giovanna, riesce a intrufolarsi nel giardino: è il duca di Mantova che si presenta a Gilda fingendosi un povero studente innamorato di lei. Poi qualcuno si avvicina e il duca fugge, Gilda però se ne è innamorata e intende rivederlo.
Giungono Marullo e i cortigiani che vogliono rapire al buffone colei che credono essere la sua amante. Rigoletto li scopre, ma essi gli fanno credere di voler rapire la figlia di Ceprano. Il buffone si offre allora di aiutarli. I cortigiani si introducono in casa sua per rapire Gilda. Troppo tardi Rigoletto si scopre vittima di una crudele beffa. Gilda è chiusa negli appartamenti del duca. Rigoletto intanto finge di scherzare covando vendetta. Quando Gilda arriva e gli racconta di essere stata sedotta il buffone giura di uccidere il duca, mentre il conte di Monterone si avvia al patibolo. Rigoletto assolda Sparafucile per uccidere il duca. Maddalena adesca la vittima, ma incapricciatasi del duca induce il fratello a uccidere la prima persona che entrerà nella loro locanda.
Gilda che è rimasta segretamente a Mantova per rivedere il duca, scopre il piano e decide di sacrificarsi per salvargli la vita: in abiti maschili bussa alla porta e Sparafucile la pugnala. Quando Rigoletto riceve il sacco, che secondo i patti doveva contenere il cadavere del duca, sente una voce e scopre, aprendolo, che si tratta della figlia. Le muore tra le braccia. La maledizione di Monterone si è avverata.
Il ferrigno e balenante capolavoro verdiano trova dunque una rappresentazione visiva tanto eterodossa e antirealistica all’apparenza, con quinte ridotte a macchia e chiaroscuro notturno e con costumi che ricordano un po’ la Belle Epoque, quanto pertinente alla sostanza del dramma, dove il sogno e il sangue sono resi negli impasti di materia e luce e dove tutti i personaggi sono in maschera.
Il regista Leo Muscato spiega l’essenza del suo allestimento del Rigoletto Verdiano con queste parole: «Disfacimento, degenerazione, sfrenatezza. Un mondo in cui tutti fingono d’essere ciò che non sono. La dimensione scenica è fatta di ombre, luci dal sapore espressionista ed evocative, con spazi suggeriti dove nulla è quel che appare». La sua regia ha il pregio di marcare l’innegabile componente proto-espressionista di Rigoletto e del Verdi maturo, segnato dall’ossessione della notte qui come nel Trovatore. Notte che non è quella di Novalis e del Tristano di Wagner, non espansione cosmica oltre i confini del giorno, piuttosto una macchina infernale illuminata da roghi sinistri e lame di pugnali.
L’anno scorso il pubblico apprezzò vivamente il modo in cui la regia di Muscato sposò la musica di Verdi: con l’invettiva rabbiosa del protagonista contro i Cortigiani, vil razza dannata, con l’ambiguo elogio del femminile di Bella figlia dell’amore e con la superficiale spregiudicatezza del Duca di Mantova che proclama l’inconsistenza delle passioni femminili ne La donna è mobile. Quest’anno ci si attende analoga risposta da platea e palchi.
di Donatella De Stefano