In questi giorni, ricorre un mese dalla tragica epopea francese della barbarie e dell’orrore.
Ieri. Il 7, 8 e 9 gennaio scorso la Francia e la libertà d’espressione sono state duramente colpite: 17 le vittime innocenti per l’attentato presso la sede del giornale Charlie Hebdo, perché degli integralisti islamici consideravano un insulto le caricature su Maometto. Estemporanei gesti di solidarietà e di sostegno nelle forme più varie, diverse e tante le manifestazioni fatte in questo mese, quale la marcia repubblicana in Francia per la pace e contro il terrorismo, l’11 gennaio scorso, da Place de la Republique a Place de la Nation, con i leader e le istituzioni mondiali: Hollande e Sarkozy, il palestinese Abu Mazen e l’israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente ucraino Petro Poroshenko e il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, il re Abdallah II di Giordania con la regina Rania e il premier turco, Ahmet Davutoglu Angela Merkel e Matteo Renzi, David Cameron e Mariano Rajoy. Oltre 50 tra capi di governo e di Stato, tutti in testa al corteo, per un percorso di solo 200 metri che rimarrà nella storia; assente, per motivi di sicurezza, il presidente USA Barack Obama. Il ministero dell’Interno ha stimato tra 1,2 e 1,6 mln di partecipanti: il corteo “più grande della storia francese, senza precedenti”(IlFattoQuotidiano, 11.01.2015).
Non sono mancate altre azioni politiche, di intelligence, di orgoglio nazionale e di risposta popolare come i 7mln di copie vendute del numero 1178, il primo in uscita dopo una settimana dalla strage, della rivista Charlie Hebdo; in copertina la vignetta di Maometto che versa una lacrima e mostra un cartello con la scritta “Je suis Charlie”, mentre sulla testa campeggia la frase “Tout est pardonné”: “E’ tutto perdonato”(Asknews.it, 23.01.2015).
Giallo sugli autori dell’atto terroristico. Le prime rivendicazioni sull’attentato subito dopo la morte del terrorista Amedy Coulibaly, con un sua dichiarazione, in un video postumo in internet, in cui afferma di appartenere allo Stato Islamico del califfo Abu al-Baghdadi, di combattere per l’ISIS (TGCOM24, 11.01.2015). Il 9 gennaio, Harith bin Ghazi, uno dei garanti di AQAP, annuncia la loro responsabilità in un video, seguito da un secondo, in occasione della stampa del numero poststrage della magazine Charlie Hebdo, diffuso su you tube, da parte di Nasr bin Ali al-Ansi che rivendica l’appartenenza dei due fratelli estremisti Kouachi ad AQAP, il ramo yemita-saudita di Al Qaeda (Penisola Arabica), notificando che “l’operazione è una vendetta per le offese contro il profeta Maometto” decisa dal leader Ayman al-Zawahiri (Corriere.it, 10/14.01.2015).
Detto questo, adesso che cosa sta succedendo?
Oggi. Al momento, la redazione della rivista satirica di Parigi, Charlie Hebdo, è chiusa: a data da definirsi l’uscita del prossimo numero (Il Foglio.it, 02.02.2015).
Quella comunione nazionale mutata in un batter d’occhio in sentimento internazionale, ora sembra espressione di ipocrisia e conformismo se spostiamo la nostra attenzione sull’attuale e vicino problema europeo della situazione di crisi tra Russia e Ucraina e se guardiamo quello che accade nel contesto mondiale odierno del Medio Oriente, dei suoi Paesi inclinati da instabilità e precarietà istituzionali, sociali e religiose. Fronti di guerra aperti in cui le vittime non si contano, sono migliaia. La tensione è in escalation.(Repubblica.it, 08.02.2015)
Queste ore sono decisive per interventi risolutori. Per quanto riguarda il Medio Oriente, oltre all’attacco informatico degli hacker di Anonymous agli account Twitter e Facebook di presunti jihadisti per oscurarli, questi ultimi giorni, con la morte dell’ostaggio giordano perpetrata dai combattenti jihadisti, si è determinato l’attacco della Giordania all’ISIS con il risultato di un indebolimento dello stato del terrore pari al 20% delle sue forze militari.(Corriere della Sera, redazione on line, 08.02.2015). Si spera comunque in un probabile intervento delle forze internazionali per ripristinare il controllo della zona. Sul piano della crisi europea, l’ultima speranza di evitare il conflitto armato tra l’Ucraina, sostenuta dall’Occidente, e la Russia è affidato al nuovo vertice di Minsk di mercoledì prossimo tra Putin, Merkel, Hollande e Poroshenko (TG1, 09.02.2015). “L’unica strada per risolvere il problema è quella del negoziato. Mandare le armi a Kiev non serve. La trattativa è in corso. Non c’è partita sul piano militare fra Russia e Ucraina e non c’è nessuno che vuole scatenare conflitti mondiali!”, afferma il nostro Ministro degli Esteri Gentiloni alla trasmissione In ½ ora, condotta da Lucia Annunziata su RAI3, dell’8 febbraio ’15.
In entrambi i casi, desiderio e aspettativa di tutti, è che sia la volta buona per l’inizio di un tangibile sviluppo di pace.
Maria Anna Chimenti