Intervista Prof. Roberto Gritti -Sociologia delle Relazioni Internazionali Università Sapienza di Roma-
Prof. Gritti, può illustrarci il quadro attuale degli equilibri e delle tensioni tra i grandi attori dello scenario mediorientale? Qual è l’elemento centrale di questa situazione?
La situazione oggi è caratterizzata da questo fenomeno dell’ISIS in Siria e in Iraq. Dalla debolezza dell’Iraq, una volta roccaforte, crollato davanti all’esercito dei miliziani e dalla guerra civile, ormai guerra aperta, in Siria. Questi i focolai più importanti.
Ma, per avere un quadro più chiaro della circostanza, bisogna tener conto di alcune cose: prima di tutto il sostanziale fallimento delle primavere arabe, che avevano dato grandi speranze e invece, a parte la Tunisia, questa spinta alla democratizzazione dall’interno si è esaurita o comunque è stata abbattuta.
Altra questione spinosa, in questo contesto di crisi acuta, è quella di conoscere le intenzioni dei vicini di questi paesi, di Siria ed Iraq, fatta qualche eccezione per gli sviluppi di queste ultime settimane. Abbiamo visto la risposta della Giordania all’uccisione del suo ostaggio, il pilota ventiseienne Muaz al Kassesbeh: legge del taglione per la terrorista irachena, Sajida al-Rishawi, in mano ai giordani impiccata insieme al colonnello di Al Qaeda Ziad al-Karbouli ad Amman, e, per ritorsione, tre giorni di raid aerei contro le basi dello Stato Islamico nella città di Mossul che hanno causato all’ISIS la perdita del 20% delle forze militari. Probabilmente, la Giordania invierà delle truppe di terra, ma da sola non può risolvere la questione.
Altro grosso interrogativo è rappresentato dalla posizione dell’Iran, perché evidentemente ha la forza e la potenza per poter ‘sconfiggere’ l’ISIS però, è alle prese con il mantenere un equilibrio molto strano e, finora non ha fatto grandi cose. Del resto l’Iran è alleato della Siria di Assad, degli sciiti. In merito alla lotta allo Stato Islamico, il presidente siriano Bashar al-Assad ha ribadito la sua contrarietà circa l’adesione della Siria alla coalizione internazionale. Per quanto riguarda l’esecuzione del pilota giordano, da parte sua la Siria ha parlato di “orrendo crimine” e l’Iran di “disumana uccisione”.
E poi l’altra incognita è la Turchia, che non intende dare spazio alla resistenza curda. La Turchia che in questo periodo è alla finestra, in attesa, anche se sa che è un gioco pericoloso. La Turchia di che cosa ha paura? Ha paura che i curdi che combattono e liberato la città di Kobane, richiedano poi uno stato indipendente. Un certo grado di indipendenza il Kurdistan ce lo ha già nell’Iraq. Questo è un altro elemento che non si riesce a risolvere perché il Kurdistan iracheno esiste ed è una zona, anzi era una zona delle più stabili dell’Iraq. Anche questa oggi, come si sa, è in mano all’Isis: la città di Mossul è dello Stato Islamico. I curdi continuano ad attaccare le posizioni dell’Isis però non possono essere solo questi combattenti, di solito anche male armati e poco equipaggiati, a vincere la guerra.
Quindi tutta la situazione è bloccata, l’unica cosa è sperare in un intervento internazionale più forte, come d’altronde dovrebbe essere. Anche in Libia, per esempio- che è un altro terreno di fallimento delle rivolte arabe in cui si stanno pagando anche i costi socialmente- ci sono infiltrazioni di vari gruppi combattenti radicali del Maghreb che oltrepassano i confini libici liberamente.
Brevemente, può parlarci della suddivisione tra sfera Sunnita e mondo Sciita? Focus sull’Islam.
I sunniti non sono in grado di fronteggiare l’Isis senza il supporto internazionale. Al momento a combattere il Califfato sul campo sono i curdi, il fragile esercito iracheno con l’aiuto americano e dei pasdaran iraniani, gli Hezbollah libanesi alleati di Teheran e le forze di Assad. Giordania, Arabia Saudita, Barhein, Emirati Arabi Uniti e Qatar sono i paesi sunniti a fianco degli Usa per bombardare l’Isis. Arabia Saudita e Qatar sono stati accusati di aver ‘nutrito’ i gruppi salafiti e jihadisti con un’ideologia simile a quella dell’Isis più che ai princìpi della democrazia o a quelli di civiltà. Amara realtà da decenni, dovuta all’intreccio di interessi economici e finanziari e politica estera. ll gruppo jihadista, che Al Qaeda rinnega, sfrutta il retroterra siriano e le divisioni tra sunniti, curdi e sciiti per avanzare. Nonostante le difficoltà militari non ha mai smesso di fare opera di propaganda e di reclutamento. Controlla tra Siria e Iraq un territorio vasto quasi come l’Italia, con una popolazione di 11 milioni di persone.
Queste organizzazioni criminali non centrano niente con l’Islam: ci sono le reazioni e le dichiarazioni delle comunità islamiche, dell’università di Al-Azhar, il centro teologico più importante dell’Islam sunnita, che sono state nette contro questi individui che si nascondono dietro la bandiera del califfato e che assolutamente non corrispondono ai dogmi della tradizione islamica. Proprio Ahmed al Tayyeb, l’imam di Al-Azhar del Cairo, ha espresso tutta la sua ira contro i responsabili dell’uccisione del pilota ventiseienne Muaz al Kassesbeh. E tutto questo ripropone uno scontro tra sciiti e sunniti. Il Califfato ha nelle sue file estremisti sunniti, di conseguenza i nemici sono fra gli sciiti. I bombardamenti e gli attacchi che hanno fatto in Iraq sono soprattutto sulla popolazione sciita oltre alle altre minoranze come quella ismaili o dei cristiani, per esempio. Da sempre il terrorismo islamico in quella zona è contro gli sciiti. Questa è una divisione riemersa da tempo. Adesso da tenere sottocchio saranno i vicini di cui non si capisce come si comporteranno e come si stanno comportando, quali gli Emirati del Golfo e l’Arabia Saudita. Questi per anni sono stati sostenitori di tutte le frange più radicali dell’Islam, mentre adesso non sostengono il califfato, anzi gli si sono rivoltati contro, rinnegando interessi e radici. Anche qui bisognerà monitorare se ci saranno consensi, appoggio oppure contrasto. La coalizione palese anti-Isis e Califfato, vede Giordania, Emirati Arabia Saudita- assai restia a entrare in un conflitto contro dei sunniti- e Turchia. In queste ore, dure condanne, a causa dell’atroce esecuzione dell’ostaggio giordano, sono arrivate dai governi dei più importanti Paesi islamici: il primo ministro iracheno, Haidar al Abadi, afferma che, come risposta, occorre lanciare ancor più “duri raid contro il gruppo terrorista”. Sul New York Times, da fonti dell’amministrazione Obama, si sostiene che gli Emirati Arabi Uniti, alleato chiave degli Stati Uniti nella Coalizione anti-Isis, hanno sospeso la partecipazione ai raid aerei già dallo scorso dicembre, perché si temeva per la sorte dei propri piloti. Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, fa le condoglianze a Amman e poi contesta:”L’Isis brucia la gente viva mentre l’Iran la impicca nella pubblica piazza, entrambi sono motivati da un Islam estremista la cui crudeltà non conosce limiti”.
Che cos’è l’IS- ISIS o ISIL, che dir si voglia- acronimo della nuova forma di terrorismo che minaccia la stabilità dell’ordine globale? E’ un prodotto degli eredi di Al Qaeda? Se non lo è, può tracciare le differenze tra Al Qaeda e ISIS? Finanziatori e obiettivi del movimento jihadista.
L’ISIS si autofinanzia perché controlla un territorio che gli consente notevoli introiti. Però, come tutti i gruppi terroristici, è nato con finanziamenti di Fondazioni private caritatevoli islamiche, le quali spesso non stanno molto a guardare a chi danno i soldi o per quali scopi. Questo è un problema che si ripropone, che c’è già stato in passato con Al Qaeda e la rete di Al Qaeda. Il problema del controllo dei finanziamenti nel mondo islamico è una ferita aperta: si danno contributi per una moschea e poi si scopre che i contributi donati sono finiti per comprare kalashnikov.
Inoltre, questi gruppi, sia l’ISIS sia gli altri, hanno una duplice matrice: quella terroristica da una parte e quella di criminalità organizzata dall’altra. Sono bande che cercano il controllo di risorse, di porti e di navi per poter inviare e comprare merci e far partire i clandestini. C’è un mix di motivazioni politiche e bassa criminalità organizzata. Ecco, questo è un po’ il tratto nuovo di questi movimenti che adesso “sfuggono” di mano anche ai loro tradizionali controllori tipo Arabia Saudita, tipo Iran e così via.
Ma quanti sono i miliziani dell’Isis? Quelli dell’Isis, secondo delle valutazioni, delle stime, sono dai 20 ai 30mila combattenti più o meno. Sono 20/30mila persone che sono su un terreno che conoscono, combattenti guerriglieri terroristi che provengono un po’ da tutto il mondo, anche dall’Europa, ma soprattutto dai Paesi Arabi e nascono da frange fondamentaliste. Io non penso che il mondo non possa sconfiggere quello che molti hanno chiamato il nazislam, perché questo è: non è islam, ma nazislam. Penso che solo un’azione internazionale di pacificazione internazionale in tutta la regione possa risolvere la cosa. Non si può sconfiggere l’Isis se non si regola la questione in Iraq e in Siria, perchè proprio nelle debolezze di questi due stati si è inserita questa forza che adesso controlla questa parte di territori.
Adesso c’è una spaccatura nei gruppi terroristici internazionali: ci sono i gruppi di Al Qaeda che sono “più moderati” e i gruppi pro Isis. Al Qaeda ha tentato la stessa via in Afganistan. Ha tentato, all’epoca, di controllarlo militarmente attraverso i gruppi talebani. Questo tentativo di avere il controllo territoriale fu spazzato via dalla guerra. Le cose in Afganistan non sono andate meglio, però quantomeno non si è giunti ad un controllo territoriale. Oggi, invece, c’è un controllo territoriale, e questa è la cosa principale da modificare. E poi l’Isis è una rete, è una rete non è un’organizzazione. Lo abbiamo visto anche con le 3 cellule impazzite, 3 lupi solitari, quelli di Parigi, non si capiva se erano Al Qaeda oppure 2 erano di Al Qaeda l’altro dell’Isis. C’è un legame, non c’è un’organizzazione centralizzata. Una serie di bande, di interessi. Di bande che si saldano sul terreno Iran, Iraq e Siria e i vari signori della guerra, in più ci sono questi “fanatici” che leggono su internet, e si mettono in testa di partire per la guerra santa in Siria. Quest’ultimi sono appunto i lupi solitari reclutati attraverso internet e l’organizzazione che controlla il territorio li addestra e li fornisce di armi. Il problema qual è? Al Qeada, era costituita da gruppi come una sorta di network internazionale in cui c’era un’affiliazione ideologica anche se i gruppi agivano per conto proprio. Qui nell’Isis, invece, c’ è una grande capacità attrattiva su questi gruppi perché, purtroppo, l’estetica del terrore e delle barbarie attira molte persone. Cosa a cui l’Isis tiene molto, lo dimostra la qualità dei filmati che realizza, i quali sembrano veri e propri film di propaganda.
C’è chi sostiene che l’Isis, al contrario di Al Qaeda, cerca di apportare benefici e servizi nei luoghi occupati per accaparrarsi il consenso…
Certo cercano un minimo di consenso, ma un consenso che si ottiene con il fucile puntato alla testa, che non è proprio un consenso e un’altra cosa.
E’ catalizzatore di reclutamento anche l’idea del Califfato?
E’ un’operazione di propaganda simbolica. L’idea del califfato è l’idea di tutti i movimenti jihadisti appunto, quelli che vedono il jihad come una guerra santa contro gli infedeli. Nell’Islam il termine jihad ha significati diversi. La maggioranza dei musulmani non crede in questo califfato, il 99% non ci crede. Ripeto chi ci crede è una piccola quota, quasi fisiologica perché purtroppo il terrorismo è un fenomeno sociale che non può essere sradicato. Non credono nell’idea del califfato nemmeno coloro che oggi sono sotto il controllo dell’Isis in Iran, Iraq e Siria. Loro devono abbassare probabilmente la testa. L’Isis è un piccolo gruppo, una setta di fanatici. Fanatici certo, ma ripeto, c’è anche l’interesse economico che muove tutto. L’interesse economico, la voglia di potenza, la voglia di violenza. Questi piccoli numeri di persone con un’azione internazionale decente potrebbero essere, dall’oggi al domani, spazzati via. Evidentemente, il Califfato resta lì perché sono troppi e troppo contrastanti gli interessi in gioco.
Quali sono le possibili ripercussioni da fronteggiare se non si avvia un’azione internazionale?
Ripeto ci sono tutti questi incroci, come dire, pericolosi, sciiti e sunniti, curdi, l’Iran e la questione del nucleare e non-nucleare con le riforme interne o non riforme, che costituiscono una situazione ingarbugliata e difficile. Altra problematica è la Siria: che ne è e che ne sarà di Assad? Non dobbiamo dimenticare che in Siria c’è ancora un “governo legittimato” a livello internazionale, che siede all’ONU, ma di cui non è ben chiara quale sia la capacità di controllo e se ha ancora potere di controllo. E’ molto complicato definire oggi in quell’area del Medio Oriente limiti ideologici e politici e confini fisici, è appunto una situazione di caos. Il rischio è che in questa zona, sia della Siria sia dell’Iraq, si giunga ad avere il caso di una nuova Somalia: che lo Stato crolli completamente e diventi una zona franca per terroristi, fondamentalisti, banditi che sequestrano le petroliere, insomma diventi una zona anarchica. Questo è il pericolo più grande. In sostanza questi sono Stati fragili che rischiano di non essere più Stati. Sarebbe un grave problema che aprirebbe le frontiere: questi territori diventerebbero zone incontrollabili, zone franche dove, appunto, si potrebbero trafficare armi, si farebbe narcotraffico e qualsiasi altra forma di traffico illecito e di illegalità in quanto mancherebbe l’autorità dello Stato e il suo controllo. Questo potrebbe essere il contesto futuro.
Maria Anna Chimenti