Teatro Argot Studio, 8 marzo, ore 21.00. L’attualità della storia dei nostri giorni, irrompe sul palcoscenico, nell’interpretazione di Elena Arvigo nei panni grondanti giustizia della giornalista russa Anna Politkovskaja e dei suoi reportage. Ed eccolo l’ingresso: fra le note russe, portamento e viso fiero, sguardo determinato si stagliano nel silenzio attento del pubblico:”…Le case qui sono grigie, non chiare…cemento grigio, sporco quasi nero…non sembra Asia. Eppure è Asia. 2006. 5 Agosto. Polvere in aria… ”. Bagliori forti e risoluti rischiarano di volta in volta lo stipite di una porta, la sedia, lo sgabuzzino, fiori sparsi, frutta per terra, buste della spesa. La figura grigia dagli occhi “dello sguardo oltre”, puntata dalle luci dei riflettori, avanza e riempie gli spazi con una voce roca ma anche acuta e tagliente che percuote la platea nei 90 minuti di atmosfere pregnanti fatti, soprusi e ricordi: realtà di guerra nelle sue poliedriche sfaccettature. Militari russi, assassini, attentati, bombe, cecchini, guerriglieri ceceni, miseria, complotti e interessi, terrorismo, innocenti vittime affollano sobriamente i quadri del regista Stefano Massini che si susseguono per il monologo dell’attrice-giornalista, in simbiosi con quella soglia della porta su cui spesso e volentieri si sofferma, si siede o oltrepassa, quasi a rappresentare i confini di un luogo-non luogo.
Sul palco la Cecenia diventa uno sgabuzzino, metafora mai più appropriata di quel posto della casa in cui si raccoglie e si nasconde di tutto. Come un fiume in piena la “Donna non rieducabile” percorre le terre della Cecenia recandosi nei luoghi più pericolosi, disposta ad adattarsi a situazioni precarie e disparate, per soddisfare la sete di verità che viene sapientemente censurata ai più dallo Stato e dal governo di Putin. I sequestri, le uccisioni extragiudiziarie, le sparizioni, le torture e gli stupri l’hanno convinta che sono proprio le scelte politiche di Putin ad alimentare il terrorismo che dovrebbero eliminare.
Nota per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per le sue disapprovazioni alla politica del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, la critica del regime – ammirata dall’Occidente, è il pugnale nel fianco del presidente russo – senza timori, racconta, nei suoi scritti, la coerenza di quei luoghi e della gente martoriata, attraverso immaginari dialoghi con protagonisti degli eccidi, siano essi giovani militari russi o capi della rivolta. Anna P. ricorda alla sala:”…Bande miste di guerriglieri ceceni e militari russi fanno a gara a chi ne stupra di più a notte…Qui in Cecenia non esiste il reato di violenza contro le donne. Lo stupro è legale…”. Testimone dell’esplosione dei ribelli ceceni o della distruzione di Groznyj – da parte delle truppe russe in cui erano stati colpiti un mercato e un reparto di maternità ed erano rimaste uccise decine di persone, tra cui donne e bambini -, la cronista senza tregua è stata negoziatrice durante l’assedio al teatro di Mosca e potenziale negoziatrice a Beslan – subito dopo il sequestro degli ostaggi nella scuola, qualcuno le ha versato del veleno in una tazza di tè, rammenta in scena:”Dove sono? Dove mi trovo? Nebbia!”. E in quegli anni ha ricevuto molte minacce di morte da militi russi, combattenti ceceni e altri gruppi armati che operano ai margini della guerra. Il momento carico e intenso dello spettacolo, di un processo evolutivo di spunti di ragionamenti e analisi, è raggiunto con la domanda, ripetuta più volte:“Signora Politkovskaja, lei da che parte sta? I russi o i ceceni, l’esercito o i terroristi?…Che cosa devo fare, chiudo gli occhi o vado avanti?” mentre “gli intelligenti stanno seduti comodamente. Sorridono e chiedono”e continua”Sono una giornalista…mi limito a raccontare i fatti”. La messa in scena del testo in grado di spronare il pubblico e farlo riflettere sul tema della libertà di stampa e l’onere del sapere che la Politkovskaja incarnava nel suo modo di fare giornalismo è opera di Rosario Tedesco. “Anna Politkovskaja è stata assassinata nell’ascensore di casa sua il 7 ottobre 2006, a Mosca. Al suo funerale ha partecipato tutto il popolo russo ma nessun politico”: la prima dichiarazione ufficiale del Presidente Vladimir Putin arriva solo il 10 ottobre; uno degli uomini del Cremlino, in un suo commento finale, nega con un vago dispiacere formale la sua stessa esistenza.
La rappresentazione è terminata. Le considerazioni continuano. Gli applausi non sono stati lesinati.
Maria Anna Chimenti