Intervista telefonica ad Elena Arvigo, reduce dal successo romano ottenuto con Donna Non Rieducabile, memorandum teatrale su Anna Politkovskaja – di Stefano Massini per la regia di Rosario Tedesco – tornata a dirigere MATERNITY BLUES (from Medea) in scena al Teatro Out Off di Milano -via Mac Mahon, 16- dal 24 marzo scorso fino a domani, con la replica delle 16.00.
Elena Arvigo, in Donna Non Rieducabile, memorandum teatrale su Anna Politkovskaja tratta il tema della libertà di espressione attraverso la storia della giornalista russa che muore per difenderla. In MATERNITY BLUES (from Medea) l’argomento trattato è particolarmente delicato, al contempo vecchio e moderno. Le note di regia sullo spettacolo sono una riflessione sulla figura di Medea e su tutto ciò che la circonda: infanticidio, istinto materno, orgoglio, tragedia, giustizia, potere. Che tenta di fare col suo modo di fare teatro?
La mia è una sfida. L’argomento dell’istinto materno e quello dell’infanticidio sono temi triti e ritriti: con il mio modo di fare teatro cerco di staccarli dalla cronaca e riportarli sull’animo umano, di sollevarli dal giudizio di circoscrivere chi è vittima e chi è carnefice. Naturalmente riporto in scena, insieme alle altre attrici, quello che dice Grazia Verasani, l’autrice del libro (a cui si è ispirato anche il film di Fabrizio Cattani) fino a farlo diventare tutto una condivisione.
Approfondendo quello che ha appena detto sui temi, purtroppo all’ordine del giorno nei fatti di cronaca, che intende con le frasi “riportarli sull’animo umano, di sollevarli dal giudizio” e in che senso considera la parola “condivisione“?
Mi incuriosisce e interessa scandagliare questi spazi oscuri, queste realtà buie affinché attraverso il teatro sia possibile consentire una comprensione, sia agli artisti coinvolti e sia al pubblico insieme, più ampia e vasta dell’animo umano. Questa comprensione non implica necessariamente né l’assoluzione né la condanna. Cerco di provare a fare un teatro pericoloso nel senso etimologico della parola: dal latino periculum, ossia esperimento, rischio. Un teatro che tenta di trovare un po’ di luce e speranza lì dove sembra non esserci che tenebra.
Ci parla brevemente della rappresentazione in scena in questi giorni al Teatro Out Off di Milano? Chi sono le protagoniste?
Bene. In sintesi si svolge tutto in un ospedale psichiatrico giudiziario, in cui si incontrano quattro donne che hanno ucciso i loro bambini. Sono la dolce Marga, l’aggressiva Eloisa, la giovanissima Rina e la più consapevole Vincenza. Maternity Blues è infatti una denominazione della depressione post-partum. Chiuse all’interno di un carcere psichiatrico, le quattro trascorrono il loro tempo espiando una condanna, che è soprattutto interiore, per il gesto che ha vanificato anche le loro esistenze. Dalla convivenza forzata – che genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella delle altre – germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto senza consolazione. Protagoniste sono Amanda Sandrelli, Vincenza; Eloide Treccani, Marga; Xhilda Lapardhaja, Rina; e io nel ruolo di Eloisa.
Potrebbe raccontarci della collaborazione alla scrittura scenica delle altre attrici e farci qualche confidenza sull’esperienza condivisa sul palcoscenico?
E’ stata ed è una bella esperienza. Attraverso delle improvvisazioni, durante le fasi di creazione dello spettacolo, c’è stato un confronto diretto con le attrici. Ognuna di noi ha messo in scena quello che aveva da offrire dando spessore al ruolo del personaggio che si interpreta, per esempio: Rina, nel momento onirico, balla sul tavolo con le scarpe di punta da danza perchè, la ragazza che la interpreta fa danza classica; in un altro momento dello spettacolo, quello del suicidio, lo specchio che viene tagliato, e rappresenta la vita spezzata, è fatto dalla ragazza che è pratica di lavori col vetro. Ognuna ha offerto delle cose che fanno parte del background reale del proprio essere donna nella vita vera.
Come è nato l’esordio alla regia con MATERNITY BLUES (from Medea)?
Dopo tanti anni che faccio l’attrice è stato quasi normale passare alla regia, un’evoluzione del mio percorso professionale e personale. L’occasione è nata per caso: MATERNITY BLUES (from Medea) era un lavoro che doveva fare un’altra persona e che poi non ha fatto, ma il progetto era mio e quindi sono subentrata.
Mentre non è stata una scelta casuale il ruolo da interpretare…
Interpreto ruoli femminili. Sono Donna e porto in scena quei temi che non sono solo al femminile. Medea non è solo l’archetipo della maternità, anche se è l’aspetto preponderante, in lei esiste l’idea di Giasone, della considerazione della ragione, dell’equità, della giustizia, del confronto con Antigone.
Quali le impressioni e le emozioni, quali le differenze fra l’essere regista e l’essere attore? E soprattutto, che vuol dire fare regia per Elena Arvigo?
Ecco, per me è stato un esplorare un’altra parte del mio essere. Fare regia significa avere una responsabilità totale: della storia e dei personaggi. Fare l’attore significa avere una responsabilità di quel ruolo che si interpreta e un buon attore ha anche una sua visione della storia. Per me fare regia è soprattutto mettere in primo piano la relazione tra le persone e i rapporti tra i personaggi, non soltanto, come pensano in tanti, la scelta della scenografia e degli attori o dei costumi.
Trailer Teatro out off https://www.youtube.com/watch?v=JMkGcb4DcjQ&feature=youtu.be
Maria Anna Chimenti