Al Teatro Quirino di Roma, domenica scorsa, si è chiuso il sipario su Doppio sogno, la rappresentazione teatrale con la regia di Giancarlo Marinelli, tratta dalla novella, più celebre e celebrata, di Arthur Schnitzler.
Di sicuro, questo spettacolo non disattende le aspettative visionarie (anche se non ha niente a che spartire con esse: tutte altre allucinazioni!) di chi ha letto il libro di Arthur Schnitzler – maestro del monologo interiore e della trasformazione della letteratura viennese di fine secolo (Jung Wien) dalla prosa dai tratti potenti e al contempo delicati – e di coloro che hanno visto la trasposizione cinematografica di Stanley Kubrik, poco prima della sua morte, nel film Eyes Wide Shut (1999) con Tom Cruise e Nicole Kidman.
Il regista (a modo suo) fa sognare “E nessun sogno è interamente un sogno!” (come dirà Fridolin – nella frase contorta del momento del risveglio, con accanto, sul cuscino, la maschera indossata la sera precedente – prima di raccontarsi alla moglie Nicole).
La regia incalza e turba e non lesina sulle proposte eccentriche (al posto dei mancati effetti speciali propri del cinema o per aggiungere squarci di contemporaneità in un racconto di ieri?). Ecco la comparsa, qua e la in momenti di recita, dei cari pupazzi Winnie the Pooh e Teletubbies oppure lo squillo di un telefonino o accessori quali bon bon per pantofole e anelli dallo sbrilluccichio hi-tech o il giallo borsone da viaggio.
Il cast notevole degli attori della Compagnia Molière si fa gestire, si divide e si moltiplica tra ruoli e interpretazioni: un multitasking riuscito (forse con un po’ di fiato corto al termine delle due ore circa di spettacolo) che non pregiudica la performance dei personaggi sul palcoscenico.
“Dopo il grande successo delle due stagioni di Elephant Man, cercavo un testo che possedesse una caratteristica; darmi la possibilità, come drammaturgo e come regista, di creare personaggi multipli per i miei attori; un testo che fosse già teatro multiplo. Dove la storia fosse tante storie; dove la verità fosse tante verità; e dove, finalmente, l’amore, la morte, il senso di colpa, il peccato e il riscatto, affiorassero prepotentemente tutti insieme.” dichiara in una nota Giancarlo Marinelli.
L’elegante, confusa e tesa fluidità, le soluzioni originali della messa in scena pilotano immediatamente lo spettatore a spingersi in quel mondo sfumato, alleggerito, tenue e impalpabile fatto di sogni, nel quale non si discerne bene cosa sia vero, tangibile, concreto e cosa sia fittizio, immaginario, ingannevole. Non è concesso nessun appiglio ai registri di luogo e tempo per il cosa possa essere sensato, saggio o cosa possa raffigurare l’assurdo, l’irrazionale facendo indugiare e tentennare il pubblico interamente catturato dalle demarcazioni del mondo onirico, deviato e ammaliante. Il tutto è sapientemente intriso da psicoanalisi freudiana e dall’alternarsi melodioso della Pavane di Ravel per pianoforte e da Baby did a bad thing” di Chris Isaak , colonna sonora del Kubrickiano Eyes Wide Shut.
L’atmosfera allucinata e fantastica, prosegue in tutto il primo atto e buona parte del secondo, tra lo squillo impertinente di un telefonino (reminiscenza della pellicola postuma di Kubrick o palpabile minuzia, protesi di drammaturgia per dar respiro all’incessante incedere di complotti, misteri e drammi psicologici?), fra nervosismi e ansie, gelosie, preoccupazioni e confessioni, segreti e intrighi a tutto spiano che tracimano sulla finta quiete immobile della platea.
Stravagante l’annuncio nel buio di inizio spettacolo:“Signori e signori siete disperatamente pregati di spegnere i cellulari, di non tossire, di non muovervi pesantemente sulle sedie, di non scartare caramelle e di non respirare affannosamente. Grazie.” Che scatena ilarità ed effetto contrario nella sala. Per poco però. Si va in scena tra le note per pianoforte della Pavane di Ravel e l’intimo e vivace dialogo tra il protagonista maschile, il medico viennese Daniel Fridolin (Ruben Rigillo, che fa bello sfoggio e perfetto mestiere del suo essere figlio d’arte – in presenza anche del padre Mariano fra il pubblico) e la sua bambina febbricitante, Lily (Serena Marinelli), in mezzo a fumi onirici, un attuale peluche di Winnie the Pooh (circostanza fuorviante, indizio eccessivo o legame intrinseco per il fil rouge degli eventi a seguire?) e alla luce evanescente di segmenti azzurro intenso. Padre e figlia, si dilettano con “Vediamo chi è più forte. Chi è che si stanca prima…” (leitmotiv che riecheggerà a sprazzi durante l’oscuro viaggio dell’anima di Daniel e Nicole per ritrovarsi), e simultaneamente sono sopraffatti dalla narrazione di una favola e dalle gesta del suo principe danese Alfred e del Castello degli Specchi. Si fa viva (come è giusto che sia) la psicoanalisi di Freud tout court, a complicare la vicenda.
“Non è incantevole, mamma? Io non riesco a staccarle gli occhi di dosso!” sono le parole di Daniel scambiate con l’affettuosa (apprensiva, premurosa all’inverosimile e smielatamente possessiva) madre Ivana (Ivana Monti – impeccabile come sempre nelle sue interpretazioni: madre o prostituta, il suo far teatro è sempre emozione qualunque sia la parte assegnatale come, per esempio, quando nel finale, dice al figlio “Mi hai tirato addosso: Perché Dio si è preso mia figlia e mi ha lasciato, qui, questa vecchia!”) indicando sua moglie Nicole (Caterina Murino – bella e altera nelle vesti dei (quota cinque!) personaggi portati in scena), al lussuoso ballo in maschera, mentre danza con un brizzolato e agiato cavaliere. (Un ricordo sognato, forse?)
La conversazione al rientro a casa, dopo la festa, anche se in un primo momento è apparentemente ingenua tra il medico Fridolin e Nicole, diventa motivo della confessione della donna di un’attrazione per un giovane ufficiale, durante un loro viaggio in Danimarca, mai consumata solo perché ne era mancata l’occasione dovuta alla partenza improvvisa di quest’ultimo. Daniel, è costretto ad uscire per recarsi al capezzale di un ricco paziente (trovato poi già morto), il Consigliere Bohm (Andrea Cavatorta), ma porterà con sé questa verità, la quale sarà capace a inondarlo di un turbamento martellante e ossessivo: circostanze incalzanti lo trascineranno a compiere un cammino all’insegna di erotismo e morte. In questa triste circostanza, la figlia di Bohm svelerà a Daniel il suo amore e ci sarà l’incontro anche con Naktigal (Rosario Coppolino), vecchio compagno universitario, che gli racconterà della doppia vita del consigliere Bohm, capo di una setta sanguinaria che sequestra giovani fanciulli indifesi per rituali misteriosi fatti di sesso e maltrattamenti. Naktigal è pagato profumatamente per suonare, durante questi macabri incontri, soprattutto la Pavane di Ravel, ma non deve svelare a nessuno l’orribile segreto. Nel frattempo la figlia del medico, Lily, scompare, portata via da Albert Bohm (Simone Vaio), figlio del Consigliere. A questo punto Daniel decide, a suo rischio e pericolo, di partecipare ai rituali nel castello misterioso per riprendersi Lily. Meravigliosa è la scena del ballo nella quale Daniel, l’intruso, si vede scoperto e costretto ad accettare il sacrificio della donna sconosciuta.
Senza dilungarci oltre sulla trama che non è celata a nessuno, torniamo invece sull’aspetto profondo della pièce, la quale è piena di voluttuosa istintività, che – prima – esonda dal livello onirico sul palco sino a che scendendo, incatena il pubblico, per quella sua ordita spontaneità conturbante e inquietante, esplicita nella fase del livello reale – dopo. Non manca il fatidico colpo di scena, che dipana la matassa e apre gli occhi: Fridolin è vittima di presunti errori professionali commessi a discapito della vita di bambini fra cui Albert, il figlio di Bohm, e la sua stessa figlia, Lily. Questo spiega il perchè del portare a galla, alla luce, il rievocare quegli accadimenti comportando fasi appassionate, struggenti, violente. Nessun equilibrio. E in questo stato di vertigini, cercare di smascherare insinuanti carenze e incertezze. A farne le spese, l’ovattato e sicuro ménage quotidiano dei Fridolin, il quale viene sconquassato da tradimenti vissuti a livello mentale (o moderno sharing love?) che avviano una crisi profonda della coppia. Per fortuna i coniugi riusciranno a venir fuori dalla dura prova più forti di prima. Alla fine, per Daniel, ogni casella tornerà al suo posto:”Ho visto tutto, tutti i miei errori, tutte le mie colpe, tutti i miei rimorsi. Tutto confuso ma tutto chiaro!”Così sarà anche per Nicole:”Non ti azzardare a sparire in mezzo ai fantasmi, Daniel, senza portarmi con te!”. I due si ritrovano. Sono di nuovo insieme, di nuovo l’uno per l’altra.
Applausi ripetuti prima, durante e dopo la passerella per i saluti finali di rito. Detto questo, ma lo spettatore, di lui che ne è stato? Beh, per lo spettatore, il prima il durante e il dopo dello spettacolo è stato, nell’ordine, il clima curioso e festoso dell’aspettativa; uno status quo inibitorio ma carico di interesse, sconcerto, raccapriccio, compassione, scoperta, sollievo e solidarietà; un ritorno a casa dello stesso colore della disposizione di Fridolin, traboccante della sensazione provata allo scoccare della parola tre, per il risveglio dall’ipnosi e che, rivolto a Nicole, afferma:”Mi sento svuotato, come se avessi attraversato il mondo di corsa, andata e ritorno!” e a cui fa eco la risposta della stessa:“Ma se non di sei mai mosso da qui!”.
Fonte foto https://www.facebook.com/spettacolodoppiosogno?fref=ts
Ravel “Pavane” https://www.youtube.com/watch?v=PuFwt66Vr6U
Eyes Wide Shut [1999] – TRAILER https://www.youtube.com/watch?v=deXe3O_hxBI
Maria Anna Chimenti