Nei saloni liberty del “Grand Hotel” di Via Veneto, a Roma, Riad Al- Malki, ministro degli Esteri dell’ Autorità Nazionale Palestinese, e Issa Kassissieh, ambasciatore palestinese presso la Santa Sede, hanno ilustrato alla stampa i dettagli dell’accordo generale firmato ultimamente, nel Palazzo apostolico vaticano, tra la Santa Sede e l’ ANP. L’intesa regola la situazione giuridica della Chiesa cattolica in Palestina, ed era stata preannunciata da un patto sottoscritto fra le due parti lo scorso 13 maggio, in occasione della visita del presidente palestinese, Abu Mazen, a Papa Francesco I; ricollegandosi, inoltre, all’accordo base firmato tra la Santa Sede e l’OLP – con Arafat ancora Presidente – il 15 febbraio del 2000 (pochi mesi prima del fallimento dei negoziati di Camp David, in prosecuzione degli accordi di Oslo e di Washington ,tra Arafat e il premier israeliano Barak, e dello scoppio della seconda Intifada).
L’accordo è costituito da un preambolo e da 32 articoli, distribuiti in 8 capitoli. “Esso riguarda aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa nello Stato di Palestina“, ha precisato, in una nota ufficiale, Monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati ( cioe’ “ministro degli Esteri” vaticano); “riaffermando nello stesso tempo il sostegno per una soluzione negoziata e pacifica della situazione nella regione“. L’accordo, secondo i normali princìpi di diritto internazionale, entrerà in vigore una volta che entrambe le parti avran notificato per iscritto il rispetto dei necessari, rispettivi requisiti di diritto costituzionale, o comunque di normativa interna .
“Quest’accordo – ha precisato, in apertura, l’ambasciatore palestinese in Vaticano, Kassissieh – arriva dopo intensi, costruttivi negoziati bilaterali con la S. Sede: e disciplina e garantisce presenza e attività della Chiesa cattolica in Palestina, proteggendo i suoi fondamentali diritti, le libertà di culto e la sicurezza dei Luoghi santi” ( sempre a maggio, tra l’altro, Francesco I ha canonizzato i primi due santi palestinesi dei tempi moderni, la carmelitana Maria di Gesù Crocifisso , al secolo Mariam Bawardi, e Marie-Alphonsine Ghattas, fondatrice delle Suore del Rosario).
Lo “statu quo” dei Luoghi santi ( Basilica del S.Sepolcro e Tomba di Maria a Gerusalemme, Basilica della natività a Betlemme), con precise garanzie per l’accesso dei fedeli e l’alternarsi delle varie comunità cristiane (cattolica, armena, ortodossa greca, ecc…) nella custodia dei Luoghi stessi, è assicurato da un quadro giuridico complesso. Quadro fondato sia sul trattato internazionale di Berlino del 1878 ( trattato nato nel chiaro segno del dinamismo bismarckiano, vòlto ad accreditare la Germania come potenza mondiale, capace anche di mediare su una questione così intricata), il quale riprendeva il vecchio editto ottomano del 1852, che sulle successive decisioni del Mandato britannico in Palestina (1918-1948); e, infine, sull’accordo tra Vaticano e Stato d’Israele (1993, lo stesso anno del riconoscimento diplomatico d’ Israele da parte della S.Sede) e sui piu’ recenti accordi Vaticano-palestinesi. “Quest’ultimo accordo – sottolinea il ministro degli Esteri palestinese, Al-Maliki, – garantisce ulteriormente il mantenimento dello “Statu quo” nei Luoghi santi, con pieno rispetto delle libertà di culto; e, garantendo a tutti funzionabilità e viabilità in queste aree, vuol promuovere lo sviluppo delle relazioni fra palestinesi e cristiani tutti. Siamo contenti di facilitare così programmi, attività, progetti specifici delle varie Chiese cristiane, per le quali si potranno studiare anche adeguate agevolazioni fiscali; e possiamo dire a buon diritto di essere una delle poche nazioni al mondo che non solo rispetta e protegge, ma anzi incoraggia le attività religiose in generale”.
L’accordo, poi, menziona esplicitamente la soluzione dei “due Stati”, il che costituisce, per i palestinesi, un riconoscimento internazionale “de facto”, da parte vaticana : “in riconoscimento”, precisa ancora Al-Maliki, ” del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e alla dignità, con un proprio Stato indipendente“. “Spero che l’accordo – ha dichiarato infatti, ufficialmente, Mons.Gallagher – possa in qualche modo costituire uno stimolo per porre fine in modo definitivo all’annoso conflitto israeliano-palestinese, che continua a provocare sofferenze ad ambedue le parti”. Il governo israeliano, però, ha subito espresso il proprio “rincrescimento“: avvertendo che una tale iniziativa, anzi, facendo esplicito riferimento all’ obbiettivo dei “due Stati”, “danneggia le prospettive per un progresso dei negoziati di pace” israelo-palestinesi. “Israele– ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Emmanuel Nahshon – non può accettare le decisioni unilaterali contenute nell’accordo, che non prendono in considerazione gli interessi fondamentali di Israele e lo speciale status storico del popolo ebraico a Gerusalemme“.
Israele potrebbe appellarsi al quadro giuridico preesistente, e specificamente all’art. 62 del Trattato di Berlino del 1878 ( sostanzialmente confermato da tutti gli accordi successivi): che, per qualsiasi modifica dello “Statu quo” dei Luoghi santi, prevede l’ indispensabilità d ‘un chiaro accordo fra tutte le parti aventi causa secondo il diritto internazionale. “Israele – ha concluso Nahshon – studierà in dettaglio l’accordo e le sue conseguenze sulla futura cooperazione con il Vaticano“.
di Fabrizio Federici