Lo spettacolo chiude la rassegna del LE VIE DEI FESTIVAL in 5 ottobre e apre la nuova stagione del Teatro Vascello il 6 ottobre 2016.
Il testo della giovane Rebecca Kricheldorf, una sorta di riscrittura delle Tre sorelle di Cechov trasposte ai nostri giorni, è ricco di suggestioni. Villa Dolorosa è un gioco di sguardi: quello di Rebekka Kricheldorf incrocia lo sguardo di Cechov.
In Germania, ai nostri giorni, in una villa un po’ fatiscente, abitata da una strana famiglia, si festeggia un compleanno e all’orizzonte, sullo sfondo, si intravede “Tre sorelle”, il capolavoro. Cambiano le regole del gioco, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: afferrare la vita. Con leggerezza e col sorriso sulle labbra, malgrado il titolo un poco ingannevole! Ci si interroga sulla felicità, sul lavoro, sull’amore e su tante altre cose. Il tempo scorre, ogni anno si festeggiano i compleanni, ma ogni volta è diverso, qualcosa nelle nostre tre sorelle è cambiato, anche se non si vede chiaramente.
Di certo, alla fine, la vita non l’acciuffi mai, ti sfugge da tutte le parti, vale la pena quindi rompersi la testa per questa cosa di cui sappiamo poco o nulla? E allora ….nasdarowie! Alla salute! E via con le danze….!!!
“Villa dolorosa di R. Kricheldorf – commenta il regista Roberto Rustioni – mi è parso, fin dalla prima lettura, un testo “necessario”: non credo, pur nella casualità delle occasioni e degli incroci, che si possa lavorare con energia senza un coinvolgimento reale e forte. Ero reduce da un lungo percorso laboratoriale su Anton Cechov, sfociato nella messa in scena di “Tre atti unici da A.Cechov”, uno spettacolo fortunato che ho ancora in repertorio ed in distribuzione. Ci sono autori ed artisti che ti parlano più di altri, che ti risuonano dentro da sempre, per me è Cechov. Quando Fabulamundi mi ha proposto una serie di opere da vagliare, non ho avuto esitazioni rispetto a Rebekka ed a Villa Dolorosa.
Nei miei Tre Atti Unici, studiati e provati con gli attori, una drammaturga ed una coreografa, avevo provato a rielaborare alcune farse giovanili dell’autore russo: destrutturando con la dramaturg il genere vaudeville-comico, e facendo lavorare, con lunghe sessioni di improvvisazione, gli attori sul principio di verità scenica, sono arrivato ad una riscrittura contemporanea cechoviana, operata sul campo in un certo senso. La riscrittura di Rebekka parte da un’invenzione poetica credo, da un gioco di specchi: da una parte all’orizzonte, Tre sorelle di Cechov, il capolavoro, il modello, la matrice, dall’altra lo sguardo irriverente, audace ma al tempo stesso rispettoso della Kricheldorf. Da questo incontro/scontro nasce un cortocircuito brillante, estremamente divertente e denso. In Germania, ai nostri giorni, in una villa un po’ fatiscente abitata da una strana famiglia, si festeggia un compleanno:
tre sorelle ed un fratello hanno ricevuto dai loro genitori – facoltosi, super intellettuali e probabilmente un poco radical/chic – dei nomi russi. La coppia, tragicamente scomparsa qualche anno prima in un incidente, lascia in dote ad Olga, Mascha, Irina e Andrej, una casa che lentamente va in rovina, ed in cui si consumano nell’arco di tre anni altrettante feste di compleanno. In realtà dei fallimenti totali di compleanno, perché queste sono le feste di Irina, tra litigi furibondi, regali sbagliati, amori sbagliati, e fiumi di alcool. Ci si interroga sulla felicità, sul lavoro, sull’amore, sul futuro dell’umanità, si balla poco ma si parla molto, si cita Schopenhauer e si raccontano barzellette nello stesso tempo, si ingurgitano sonniferi contenenti morfina col sorriso sulle labbra e ci si arrabbia ferocemente su Pippi Calzelunghe, come abitualmente fanno gli esseri umani. L’atmosfera tragicomica si delinea con precisione, ed il tragicomico è essenziale in Cechov, la compresenza cioè all’interno della stessa situazione di elementi scuri, malinconici, drammatici, con qualità, dinamiche, comportamenti più leggeri, ironici, quotidiani, comici appunto.
L’umanità di Cechov è complessa, non esiste mai il bianco od il nero, ma sempre il grigio, la sfumatura, la contraddizione, è una visione dell’uomo e del reale complessa e moderna, assolutamente contemporanea; in questo senso credo che Rebekka entri perfettamente nella poetica cechoviana.
Al di là dei tormentoni, delle gags, del gioco degli equivoci attraverso cui si sviluppano le tre feste di Irina con i loro inesorabili fallimenti, – Villa Dolorosa è un testo realmente molto divertente e comico con battute folgoranti, malgrado il titolo un poco ingannevole, la villa non è per niente solo dolorosa! – qualcosa di denso lentamente emerge. I quattro nomi letterari russi dei personaggi principali, non si presentano ai nostri occhi solo come dei divertissement, degli scherzi: Olga, Mascha, Irina ed Andrej “sono” anche i rispettivi personaggi cechoviani, è come se ne fossero posseduti. Nonostante la Kricheldorf sparigli le carte, cambi completamente le battute, operi dei precisi processi drammaturgici di riscrittura (reiterazione, la festa di Irina del primo atto di “Tre sorelle” viene ripetuta tre volte per tre atti; sintesi, i personaggi esterni alla famiglia vengono sintetizzati in due, Janine e soprattutto Georg che rappresenta tutta la guarnigione e cioè l’universo maschile che gravita attorno alle tre sorelle), sorprendentemente l’eco dei personaggi originari di Cechov è molto forte, come se le creature della Kricheldorf rimassero coi loro modelli.
Ritroviamo la Mascha istintiva ed immersa nell’azione, che vuole vivere ad ogni costo, agire anche a costo di pagare a caro prezzo le proprie scelte, Olga che sogna di andare lontano per sfuggire ad un lavoro che detesta profondamente ed alla maturità ( i quarant’anni maledetti) che la spaventano, Irina immersa in un tormento ed in una irrequietudine quasi isterica da cui cerca disperatamente una via d’uscita, Andrej l’artista incompiuto, l’eterno ragazzo che rapidamente, attraverso l’incontro con una donna e la paternità, diventa un uomo pieno di cicatrici.
Le tensioni e le dinamiche familiari presenti in Cechov vengo riproposte da Rebekka in maniera altrettanto sottile, fino a raggiungere il culmine, a mio avviso nella scena finale, dopo il tentativo di suicidio di Mascha, dove le tre sorelle ed il fratello, iniziano un gioco etilico, una presa in giro amara, di Georg e Janine, dei due personaggi “altri” rispetto al nucleo familiare, quasi a raccontare l’eterna difficoltà a rapportarsi al Mondo, a ciò che è esterno/altro da noi, una tensione ed un’incomprensione perenne, comune a tutti gli uomini. Non è facile vivere, non è semplice, la vita è complessa, e quando provi ad analizzarla ti sfugge da tutte le parti. In una lettera del 1904, poco prima di morire, A. Cechov scriveva: ”..e poi questa vita, della quale non sappiamo niente, merita tutte le tormentose meditazioni nelle quali si logorano le nostri menti russe? Resta da vedere.” E’ quello che fanno anche i personaggi di Rebekka, immaginano la vita futura ( tra 200 anni..), si chiedono cos’è la felicità, se esiste sulla terra, straparlano, girano a vuoto, si sbronzano, e quasi senza accorgersene,con grande leggerezza, vanno a toccare le cose che contano: l’amore, la morte, crescere, fare i conti con i propri limiti e con quelli degli altri, le relazioni tra uomini e donne, lo spreco delle proprie risorse interiori, la capacità di risollevarsi e ricominciare da capo, sopravvivere. Tutto resta aperto, non si trovano grandi risposte, il tempo scorre e la Kricheldorf con coraggio e talento in Villa Dolorosa prova ad afferrare la vita, come Cechov: ma la vita non l’acciuffi mai, ti sfugge da tutte le parti…ed allora vale la pena rompersi la testa per qualcosa di cui sappiamo poco o nulla? Ed allora proprio niente… Nasdarowie! Alla salute! Balliamo..
di Martina Mugnaini