Roma, III Municipio – Interessante iniziativa del gruppo di Volontariato Vincenziano della parrocchia San Ponziano a Talenti.
Periodicamente il gruppo organizza la lettura e la discussione di un libro trattando diverse tematiche.
Il libro oggetto dell’ultimo incontro de “Gli amici della lettura” è stato, “Heranush, mia nonna. Il destino di una donna armena.”
Fethiye Cetin – Alet Edizioni Padova, 2011
Di seguito la recensione a cura della responsabile dell’iniziativa Silvana Marini.
Il libro narra della deportazione degli Armeni da parte dei turchi nel 1915 verso il deserto siriano e quindi verso la morte, con un risvolto particolarmente angoscioso in mezzo alle varie crudeltà, decapitazioni, sgozzamenti, annegamenti, etc.: quello di rapire bambine alle famiglie (ormai ridotte a sole donne perché gli uomini erano stati uccisi) per destinarle a servette, o nella migliore delle ipotesi, a figlie.
È questo il caso di Heranush, bella bambina di nove anni, strappata alla mamma che cerca in tutti i modi di difenderla, e adottata da un gendarme turco che la circonda di tutte le cure, ma le cambia il nome e la religione.
La nipote Fethiye ne rievoca la figura e la vicenda umana.
La narrazione non è consequenziale, comincia con il tratteggio della figura della nonna nella vita che le è stata imposta: è stata fatta sposare a sedici anni a un buon uomo, di gran lunga inferiore per intelligenza alla moglie.
È stata lungimirante, decisa, affettuosa e soprattutto caritatevole (forse un retaggio dell’educazione cristiana dell’infanzia).
L’affetto si è rivelato soprattutto quando Fethiye è rimasta orfana di padre in tenera età ed è stata accolta assieme a sua madre e ai suoi fratellini in casa dei nonni.
Dopo questo primo nucleo narrativo della vita della nonna Heranush, Fethiye rievoca uno stralcio macabro dell’anno 1915 quando nel villaggio della nonna, allora bambina, era iniziato improvviso il massacro dei turchi contro gli uomini armeni.
Erano stati legati a due a due e poi deportati (…) “e della loro sorte non si seppe più nulla”.
Quanto agli uomini restanti, dopo che a tutta la popolazione era stato intimato di lasciare le case e di andare verso il deserto, arrivati vicino ad un fiume, fu tagliata loro la gola e gettati nel fiume.
Heranush, entrata nella casa del turco, si era adattata ai costumi locali pur serbando in cuore il ricordo del passato che non aveva confessato a nessuno.
Ma un giorno rompe il silenzio e comincia a far trapelare qualcosa a Fethiye.
Per prima cosa le confida di avere parenti in America ma di ignorare dove abitino.
La nipote intuisce che la nonna cela un passato segreto.
In effetti, dopo qualche giorno essa riprende a parlare: svela di essere armena, di avere un altro nome e descrive lo strazio della deportazione: “anziani, malati, invalidi, venivano trafitti con le baionette, e i loro cadaveri abbandonati sulle montagne, in pasto a lupi e rapaci”.
Rivela un particolare agghiacciante: ”Giunti ad Havler, la mia nonna paterna gettò nel fiume le sue due nipoti, le figlie dei miei zii.
Erano stati ammazzati anche loro e le bambine non erano in grado di camminare […].
Poi si gettò nel fiume e scomparve”.
La missione di Fethiye è quindi quella di ricercare i parenti americani della nonna, e per questo scopo si fa aiutare da un’amica che abita negli Stati Uniti.
Riesce allo scopo quando la nonna è ormai morta.
Fa quindi pubblicare un lungo necrologio su un giornale, che viene ripreso da un grande giornale francese che verrà letto da un arcivescovo armeno, congiunto della nonna che contribuisce a rintracciare i legami del resto della parentela.
Il libro termina con un gesto di pace fra i parenti americani e la giovane turca.
Per ulteriori notizie sull’iniziativa è possibile consultare il sito della parrocchia San Ponziano, www.sanponziano.net
Buona lettura
Riccardo Evangelista