Bene, continuiamo con la 2° parte dell’intervista al regista Giuseppe Piva (a fine pagina il link della prima). Ieri è andata in onda, dalle 21.00, su TeleRomanatv.it la prima puntata di NERO. Ricordiamo a chi l’avesse persa che è ancora possibile rivederla.
Nel primo episodio, allo spettatore, si danno le chiavi per aprire le porte che conducono verso il fulcro della storia: personaggi e vicende prendono una prima forma, dai contorni decisi ma che giustamente non lasciano intravedere altro. Per comprendere meglio ciò che intendo dire, ti spiace Giuseppe, se diamo un aiutino? Cortesemente, potresti fare un’analisi psicologica e tecnica della storia e del titolo, e rivelarci qualche curiosità…
NERO è una dark comedy ambientata nella provincia italiana. Mette a stretto giro di vite una famiglia matriarcale, due investigatori mercenari, due bambini abbandonati e maltrattati i quali tornano in età matura per rivendicare il diritto alla vita che gli è stato tolto. L’intreccio delle storie di queste persone è il tessuto della serie. E come accade con il vaso di Pandora, anche in questo racconto, dopo tutto il male rimane la speranza. Ma non vado oltre altrimenti rischio di dire troppo.
Per quanto riguarda il titolo, invece, un primo input è dato dalla scelta del come raccontare l’infanzia dei bambini abbandonati. Ho preferito l’uso di una graphic novel animata ideale per questi casi: riporta al passato per poi ricucirlo col presente. Inoltre, come si è già visto, Nero, e non rosso, è anche il colore del sangue utilizzato in scena per richiamare di proposito il colore dell’inchiostro dei fumetti.
Adesso parliamo dell’aspetto attenente il lavoro vero e proprio, senza scendere in dettagli e terminologia tecnica. In che modo si è deciso di mettere in sequenza d’immagini il racconto?
In Nero ho prediletto dettagliare le immagini senza sovraccaricare la messa in scena di effetti o di una grammatica troppo confusa.
Insieme al cast, abbiamo voluto, soprattutto, raccontare la storia di persone. In fase di storyboard il progetto è stato limato e compresso, in un certo senso. Ovviamente poi c’è il gusto personale… ritengo che tanti prodotti indipendenti soffrano un po’ da ansia da inquadratura, al limite del fastidioso. Io sono per i movimenti del racconto, i movimenti di macchina sono una conseguenza.
Quindi, in parole povere e per i non addetti ai lavori…
Si è voluta sviluppare la fiction con tutti i criteri di una vera serie per la TV: sono convinto che la qualità del lavoro, sia come scrittura sia come realizzazione, conti ancora molto. Dello stesso parere è sia il cast sia la troupe.
Dove sono stati realizzati i filmati? Hanno inciso molto i costi delle riprese sulla registrazione della prima parte della fiction?
La serie è stata ambientata vicino a Milano, a Piacenza e dintorni. La conoscenza profonda del territorio e delle location ci ha permesso di girare le prime sei puntate con relativa facilità contenendo i costi.
Per questo la scelta è caduta su queste location piuttosto che altre o vi è una diversa motivazione?
Volevamo soprattutto che la fiction fosse fortemente caratterizzata dal territorio: la provincia del nord Italia, zona di confine, da sempre considerata non-luogo, priva di unicità e stimoli, da cui, nella migliore delle ipotesi, fuggire.
Come hai anticipato, la serie è strutturata in due parti per un totale di 12 puntate, ma al momento quelle andate in onda sono le sei della prima parte su reti locali e regionali (più di 50) del digitale terrestre e sul canale on-demand di Mediaset, Infinity Tv. Qual è stato il riscontro di pubblico?
Intanto è una grande soddisfazione sapere che NERO è stato visto in così tante parti d’Italia. E il riscontro del pubblico è più che positivo.
A questo punto, Giuseppe, scatta inevitabile la spigolatura. Secondo te, perché lo spettatore dovrebbe mettersi seduto a vedere NERO piuttosto che, per esempio, assistere ad una partita di Europa League, un talk show o fare altro…
Semplicemente perché NERO è un prodotto che si distacca dalla mesta consuetudine della fiction italiana, togliendo capolavori come Gomorra, Romanzo Criminale e poco altro.
In che senso “si distacca dalla mesta consuetudine della fiction italiana”?
NERO è più cattivo, cinico, aspro, ma è vestito da racconto posato e quotidiano: ci piace pensare che lo spettatore possa capitare davanti a qualcosa di sinistro che abbia un messaggio potente, che in sintesi è il tabù della TV italiana. La verità è che, dietro una cortina di buonismo e di ottimi principi e parole e di visione internazionale, siamo altresì un popolo meschino, falso, spregiudicato e debole. Proprio e soprattutto nella provincia italiana, che non esiste se non quando succede qualche delitto.
FINE 2° PARTE
Maria Anna Chimenti