Rubèn, Santiago, Eduardo, Alejandro, Humberto. E Ines, Mariela, Camila, Laura, Claudia, Macarena. Undici giovani, ventenni, undici ragazzi, ognuno col suo corredo di sogni, speranze, affetti, illusioni. Com’è normale, com’è giusto che sia. Solo che il contesto sociale e politico in cui stanno vivendo non è certo il più adatto a undici persone che si sono appena affacciate alla vita. Siamo, infatti, nell’Argentina del 1978, dove la spietata dittatura del generale Videla, emula di quella cilena di Pinochet, da due anni ha liquidato, col golpe del 23 marzo ’76, i sogni del peronismo, incarnati ancora, nonostante tutto, dalla presidentessa Isabelita Peron, vedova del generalissimo. Sono stati messi spietatamente fuorilegge non solo comunisti, socialisti, radicali e altre forze di sinistra, ma anche i “montoneros”, gli epigoni di quel peronismo socialisteggiante che tanto aveva dato all’Argentina durante la prima presidenza di Peron (1945-1952).
Questo, il contesto de “L’ultimo volo”: la pièce teatrale di Gianni Clementi andata ultimamente in scena, per la regia di Enzo Ardone, al Teatro della Visitazione di Via dei Crispolti, noto per ospitare spettacoli sia leggeri che d’impegno civile. Uno spettacolo che scuote le coscienze in varie direzioni, facendo riflettere. Su cosa? Anzitutto, sul vergognoso groviglio d’interessi che, all’insegna della P2 di gelliana memoria, ancora lega, per vari aspetti, le classi dirigenti argentina e italiana ( nel 2014, la nostra Corte di Cassazione, in un’incredibile “Caso Priebke alla rovescia”, ha negato all’ Argentina l’estradizione d’un ex-golpista degli anni ’70, noto torturatore di oppositori, che oggi vive indisturbato in Italia, facendo attività sociale per una parrocchia di Genova!). Poi, sul piano esistenziale, a proposito di quanto certi legami degli anni adolescenziali possano durare nel tempo, al di là di qualsiasi divergenza sociale, politica, religiosa.
Sì, perchè gli undici ragazzi di Buenos Aires vengono rastrellati dagli sgherri dei golpisti proprio mentre l’Argentina impazzisce per la febbre dei Mondiali di calcio. E’ il giorno del luglio del ’78 in cui appunto la nazionale argentina affronta in finalissima quella olandese. Sull’aereo dove sono stati portati gli undici giovani, destinati ad esser tragicamente buttati in mare al largo delle coste uruguayane ( secondo la tecnica che i golpisti hanno appreso dagli ex-nazisti notoriamente “ospiti” dell’ Argentina da decenni), il carnefice Jaime riconosce improvvisamente il suo vecchio compagno di scuola Rubèn, e, con lui, tutti gli altri, compagni di classe e di tifo calcistico. Ne nasce un moto d’animo che lo porta addirittura a scontrarsi coi suoi camerati, meditando di non eseguire l’ordine atroce impartito dai superiori.
Come nel cinematografico “Buongiorno notte”, di Marco Bellocchio ( sul dramma di Aldo Moro), per pochi minuti gli spettatori sperano che le cose possano prende una piega diversa.Ma la pièce termina, purtroppo, col racconto finale di Mariano ( lo stesso Enzo Ardone), che, ai nostri giorni, narra della tagica morte in mare di tutti i ragazzi, e anche del loro consigliere spirituale, quel Padre Ramiro ( Giovanni Caraccio) che, pochi giorni prima dell’ “Ultimo volo”, aveva avuto il coraggio, in chiesa, di rifiutare la comunione a un ufficiale golpista. Appaiono, infine la figlia che Mariano ( all’epoca sfuggito fortunosamente all’arresto) ha avuto dalla fidanzata, strappata alla madre alla nascita e affidata a un’altra famiglia; e un’altra ragazza dal destino analogo (destino capitato, negli anni ’70, a tanti figli di oppositori: come già, del resto, nella Spagna franchista). Ambedue le ragazze son venute poi a sapere chi erano i loro reali genitori: grazie all’impegno delle madri ( oggi divenute nonne, ma in parte ancora attive nella ricerca dei loro figli “desparecidos”) di Plaza de Mayo.
Bravissimi tutti i giovani interpreti ( della compagnia “Bottega dei RebArdò). Azzeccate – nella loro nuda essenzialità – le scenografie; così come il commento musicale (da Violeta Parra, con la sua celebre “Gracias a la vida”, al travoltiano “Grease”), che davvero restituisce il sapore d’un’epoca.
Andrea Ardone