Veronica continua il suo racconto. Play. Rec.
Lì per lì, non diedi molta importanza alle parole della dottoressa. Avevo appena 36 anni e non pensavo a simili malattie. Sapevo che per le donne tra i 50 e i 69 anni era indicato lo screening per il cancro del seno, fra cui fare anche ogni due anni la mammografia, perché in questa fascia d’età si concentra la maggior parte dei tumori del seno. Ma avevo appena 36 anni e non pensavo all’eventualità di avere un cancro. Al rientro a casa, non dissi nulla a Marco, per evitare di preoccuparlo senza motivo, e dimenticai presto di fissare l’appuntamento dal senologo fagocitata dall’andamento ordinato lavoro-famiglia. Cosa è successo a farmi ritornare la memoria? Dopo quasi un paio di mesi, mentre ero sotto la doccia, ho sentito un lieve rigonfiamento al seno destro. Sembrava una pallina. E davanti allo specchio, l’ho vista bene quella pallina: non era andata via, era ancora lì.
Qualche giorno dopo ero in visita dal senologo. Prima di cominciare l’esame del seno, il dottore ha provveduto all’anamnesi formulando domande in merito all’eventuale presenza di casi di tumore del seno in famiglia, quindi è passato a quelle riguardanti l’età di comparsa del primo ciclo mestruale, dell’uso dei contraccettivi orali, delle gravidanze, di possibili terapie ormonali, e abbiamo concluso parlando di alimentazione. Subito dopo mi ha fatto accomodare sul lettino, nell’angolo della stanza, per l’esame clinico vero e proprio che comincia con l’osservazione e si completa con la palpazione. Per non mostrare disagio pensai ad altro: lo schiamazzo di Lula, Luca e Luna quando escono da scuola o i pianti quando si contendono lo stesso giocattolo; i loro perché e le loro “domande alla Marzullo”; i loro risolini di stupore davanti a regali o sorprese. Intanto il medico fece tutti quei gesti, semplici e indolore, che io e/o ogni donna dovremmo preventivamente eseguire mensilmente nel corso dell’autopalpazione.
Ecco che si fa avanti una figura, quella figura che non credo sia disposta ad andarsene facilmente: sono io, Veronica, freezaata nell’istante stesso in cui sul seno destro le mani indugiano, tastano e indagano maggiormente. La diagnosi finale, conferma la presenza irregolare, ma richiede un ulteriore esame: l’ecografia mammaria. Il senologo fece una telefonata, e mi condusse lungo un corridoio, e attraverso delle scale su un altro piano in una nuova stanza: mi mise nelle mani di un collega. Eccomi nuovamente distesa. Stavolta toccava esaminarmi in altro modo. La sonda ad ultrasuoni del macchinario passò più volte sul seno, cosparso dal sottile strato di gel acquoso, soffermandosi più spesso su quello destro e, ogni volta, il monitor visualizzò l’immagine anomala. Quell’agglomerato di cellule insolito, così diverso da quello del tessuto contiguo. Nodulo mammario.
L’esito del consulto non fu quello sperato. Una rabbia sorda mi colpì e mi rese abulica. Lo status di torpore durò solo qualche attimo poi fu un boato di motivazione e impeto. La colpa di quello che mi stava accadendo non era del medico ma avrei tanto voluto rompergli il muso, usare la sua faccia come un punching-ball. Questi ignaro dei miei cattivi pensieri, mi rassicurò e al contempo mi consigliò di fare altri accertamenti, accertamenti mirati, quale per esempio una mammografia bilaterale, magari in un ospedale o in un centro specializzato in oncologia. Non risposi. Fui molto scortese, raccolsi le mie cose, uscii senza salutare e non chiusi nemmeno la porta dietro di me. Almeno, credo. Mi ritrovai vicino alla macchina senza saper come. Incominciai ad aver paura. Incominciai ad aver coraggio. Incominciai a vedere la porta del tunnel. Incominciai a mettermi in cammino per trovare l’uscita. Mi confidai con Marco. Piangemmo insieme. Sperammo insieme.
Stop.
Maria Anna Chimenti