Concepito durante il 70° anno dalla liberazione di Auschwitz, il Memoriale della Shoah di Bologna, nato dall’impegno congiunto della Comunità Ebraica, istituzioni e privati cittadini, si rivolge tanto al passato quanto al futuro.
Due blocchi di acciaio alti 10 metri si fronteggiano all’angolo tra via dei Carracci e il ponte di Via Matteotti convergendo l’uno verso l’altro fino a delimitare una fessura larga appena da far passare un persona. Ai lati, orbite vuote sovrastano il percorso ripetendosi in maniera ossessiva in tutte le direzioni. Rappresentano le celle dei deportati; il vuoto lasciato da chi le occupava.
Ma esiste un’altra faccia del Memoriale: una facciata liscia – dove il perimetro delle celle si indovina solo attraverso lievi sporgenze – pensato espressamente per riflettere suoni, luci e immagini.
«Su quella superficie si può continuare a ‘scrivere’ il presente – sottolinea Daniele De Paz, presidente della Comunità Ebraica di Bologna –. Coscienti del male e dell’ignoranza del passato rispondiamo, tutti assieme, con la vita, il ricordo e il dialogo, affinché la brutalità non risorga, in nessuna forma e contro nessuna cultura. Il nostro vero memoriale è un gesto antichissimo di ospitalità: aprire le porte e condividere le nostre memorie».
Il monumento, infatti, è pensato come un magnete: vuole attirare le persone, farle riflettere, discutere, pensare su quanto è accaduto nella storia: sulla Shoah e sui nomi che lo sterminio ha assunto nelle diverse lingue e culture cha ha cercato di estinguere. Ma non solo.
«L’intuizione, suggerita dal Comune, di erigerlo alla stazione ferroviaria di Bologna– dove si consumò l’attentato del 2 agosto 1980 – è la sintesi della sua natura: il ricordo».
«Ricorda, Osserva, Andare avanti sono i tre verbi chiave dell’identità ebraica – spiega De Paz –, ma sono anche valori da condividere. Sono le basi di ciò che ci unisce: la memoria, che è universale, perché appartiene a tutti ed è essa stessa identità».
Il simbolismo gioca un ruolo importante nel monumento. Non ci sono scritte – eccetto una targa con i benefattori che l’hanno reso possibile – ma è il luogo stesso a parlare: una piazza immacolata, sorta sopra la neonata stazione dell’alta velocità. «È un luogo urbano intatto, da riempire di significati. Nello stesso tempo, è un sito della memoria. Affiancare il Memoriale della Shoah alla Strage di Bologna significa offrire, a chi fa il suo ingresso ideale in città, la possibilità di ricordare entrambe. Un’identità che nasce, anche, dal ricordare di non dimenticare».
Mentre la paura, il terrorismo e l’esclusione risorgono a livello internazionale, il Memoriale di Bologna offre una visione del futuro completamente antitetica; una che Matteo Maria Zuppi, Rav Alberto Sermoneta e Shaykh Abd Al Wahid Pallavicini – rispettivamente Arcivescovo di Bologna, Rabbino Capo della Comunità Ebraica bolognese e Presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana – inaugureranno congiuntamente il 27 gennaio 2016, durante laGiornata della Memoria.
«Il Memoriale della Shoah di Bologna è tutto racchiuso qui: uno spazio da vivere, dove incontrarsi, per stimolare continuamente confronti, esposizioni, dialoghi. Quando le generazioni passano e i superstiti si estinguono sono le Comunità civili nella loro interezza a dover divenire testimoni del tempo. Per questo vorremmo un Memoriale in ogni città d’Italia. Diffondere la cultura della memoria è un investimento per la pace e la tolleranza nel futuro».
L’idea del Memoriale nasce all’interno della Comunità ebraica di Bologna durante la giornata della Memoria 2015. L’ambizione è stata partire con un progetto preciso e circostanziato, in modo da offrire, fin dall’inizio, un’iniziativa credibile e concretizzabile. Il risultato è stata una competizione internazionale che, in pochi mesi dalla pubblicazione del bando – il primo redatto in inglese dal Comune di Bologna – ha raccolto 284 proposte da altrettanti architetti e studi di progettazione. Il 30 per cento proveniva dall’estero.
Tra i primissimi a sposare l’iniziativa l’allora Presidente della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna Marco Cammelli. L’impegno è stato confermato e portato a termine dall’attuale Presidente, Giusella Finocchiaro. Nella stesura del bando si è rivelato fondamentale il contributo dell’Ordine degli Architetti di Bologna, mentre la stesura del progetto esecutivo e realizzazione dell’opera si devono alla bolognese Si Produzioni. A garantire la sostenibilità del progetto, il contributo finanziario della Regione Emilia-Romagna. Forte anche l’impegno internazionale, con la campagna della Comunità ebraica di Las Vegas, e in continua crescita il contributo di imprenditori e privati cittadini. Dall’intuizione iniziale all’inaugurazione, l’intera opera è stata realizzata in un anno esatto.
È stato Peter Eisenman, architetto che ha stilato il progetto del Memoriale di Berlino, a presiedere la commissione che ha selezionato che ha selezionato il progetto di un gruppo di architetti romani trentenni tra i 284 presentati. Già affermati nel loro campo grazie a riconoscimenti e collaborazioni internazionali, hanno deciso di partecipare, insieme, alla Memorial Competition fondando lo studio di progettazione SET Architects (Lorenzo Catena, Chiara Cucina, Onorato di Manno, Andrea Tanci). «Immaginiamo gli spazi architettonici come scenari della vita – racconta il co-fondatore Onorato di Manno – un’architettura che dialoghi in modo diretto con chi la vive attraverso l’attento rapporto con il contesto e la cultura locale con un approccio critico nei confronti dell’oggetto architettonico come fattore culturale. Appena individuato il tema e le specifiche tecniche, abbiamo cominciato a riflettere e parlare ai parenti dei deportati. Alla fine è stata la frase iniziale di Se questo è un uomo di Primo Levi a indirizzare la progettazione». I versi “Voi che vivete sicuri/ Nelle vostre tiepide case […] Considerate se questo è un uomo” hanno fatto scattare l’attenzione sulle celle dei prigionieri, al loro essere la pura negazione del concetto stesso di casa.
Le cavità cubiche che si ripetono morbose convergono sul visitatore trasmettendo il malessere che raffigurano. Anche la scelta del materiale – l’acciaio cor-ten che si corrode all’aria aperta – suggerisce l‘oppressione di ciò che rappresenta. Nei blocchi, però, la profondità spaziale assume il ruolo del tempo: sulla faccia interna ciò che è avvenuto, sulla faccia esterna, l’oggi. «Una faccia liscia – conclude Di Manno – sulla quale risaltano le linee delle celle confluendo nella consapevolezza contemporanea. Su quella faccia si scrive coscientemente, una vita diversa, opposta, alla barbarie del passato».
Il Memoriale non è un punto di arrivo, ma la scintilla di un processo culturale e di vita capace di catalizzare interesse, quesiti e una continua riflessione nella città. «Per la Comunità ebraica di Bologna – conclude Daniele De Paz – è stato molto rincuorante vedere che questo processo si è attivato ben prima che il monumento venisse anche solo inaugurato. La mostra di tutti i progetti in gara – ospitata da Sala Borsa da settembre a metà ottobre con il contributo diUrban Center – e la partecipazione e l’impegno di istituzioni, aziende e privati cittadini nelle diverse iniziative, hanno svelato una Comunità civile piena di passione. Per questo il nostro obiettivo è che il Bologna Shoah Memorial diventi una Fondazione che stimoli continuamente a ricordare e imparare dai nostri tanti passati mentre ci sforziamo di costruire un futuro».
di Martina Mugnaini