Veronica prosegue con la sua storia. Play. Rec.
Non credo sia importante dire chi, dove o come si chiami il luogo in cui andai. Se in quel momento fossi da sola o protetta. All’epoca, priorità era Responso. Adesso, priorità è provare a riportare passo passo come mi sentii e che cosa pensai prima, dopo e durante la tecnica medica che mi praticarono.
Non ricordo l’arredo asettico e anonimo della camera, ricordo i camici e non i visi, ricordo bene quell’ago sottile, non come quello delle comuni siringhe e poco più spesso, che piano, supportato dall’ecografia, s’introdusse nel seno. Mi sembra di sentirne ancora la punta raggiungere la pallina, tecnicamente il nodulo localizzato, penetrarlo e aspirarne parte del contenuto: sarà proprio quel prelievo, la materia d’esame in laboratorio.
Ago aspirato, così si chiama l’esame a cui mi sottoposi per distinguere la natura benigna o meno del nodulo: sarà una cisti o un tumore? La domanda mi rimbombò orfana nella testa.
Mi sembra di vedermi ancora. Sto sempre lì ferma, col respiro basso e il cuore su un’altalena, l’orecchio teso a percepire ogni rumore per seguire le indicazioni, finché la voce estranea ovattata mi congedò. Trascorsi il periodo dal prelievo all’esito dell’esame clinico in trance, vegetando. Un’attesa snervante e lesionante. Non saprei quantificarla: era tutto così dilatato! E venne l’ora del ritiro. L’ago aspirato diede il suo responso: tumore! Io diedi un urlo muto: no! Marco mi strinse a sé, mi svuotò dal rifiuto della realtà, assorbì il mio turbamento e spazzò sconforto e tensione con una ventata di voglia di vita: ci voleva una reazione positiva per buttarsi dietro le spalle la malattia, ci voleva grinta e muso duro per sconfiggere la malattia. Dovevo farlo per me, i miei figli, mio marito, i miei cari. Stop.
Veronica ha gli occhi lucidi. Le labbra tremano. Le parole sussultano. Si ferma a prender fiato.
Maria Anna Chimenti