Un libro dai contenuti piu’ vari, che stimola la riflessione sul senso della vita e sul giusto posto da assegnare a cultura e impegno sociale. Questo “Deposito bagagli” (Roma, Scienze e Lettere, 2016, pp. 274, e. 18,00) di Luigi Fenizi, funzionario del Senato, consigliere parlamentare, e saggista già collaboratore di storiche testate di area riformista, non è solo un’ autobiografia, nettamente divisa in un “prima” e in un “dopo” (evento spartiacque, la grave malattia che nel 1991 ha colpito l’ Autore, limitando fortemente le sue capacità deambulatorie e le sue facoltà di relazione con gli altri). Ma è anche una riflessione complessiva appunto sui grandi temi dell’ esistenza (il rapporto vita-morte, la ricerca di Dio, il lascito spirituale che trasmettiamo ai nostri cari e, piu’ in generale, al mondo): in chiave sempre profonda e, al tempo stesso, leggera e autoironica (determinante per riprendersi, e tornare al lavoro e alla scrittura, è stato, sottolinea sin dall’inizio l’ Autore, il sostegno della moglie, della famiglia tutta e degli amici piu’ cari).
Al tempo stesso scorrono, sullo sfondo, settant’anni di storia italiana: da quell’ aprile del ’44 che, poco dopo l’eccidio delle Fosse Ardeatine, vede i genitori dell’ Autore fuggire da Roma occupata nelle natie Marche ( dove Luigi nascerà di lì a poco, a Falerone, provincia di Ascoli Piceno), sino ad oggi. Settant’anni che Fenizi rivede con la lente della nostalgia, ma anche con preciso senso critico (emblematico, il suo giudizio di riformista sul ” ’68 e dintorni”: indubbia esplosione libertaria, nella logica della storia, ma anche pericolosa stanza d’ incubazione di massimalismo, rivoluzionarismo fine a se stesso, sino al terrorismo sanguinario). E proprio della piu’ illustre vittima degli “Anni di piombo”, Aldo Moro, Fenizi sarà studente alla “Sapienza”, facoltà di Scienze Politiche. Mentre nei primi anni ’70, da giovane funzionario presso la Commissione Bilancio del Senato, ha modo d’ avvicinare figure come Antonio Giolitti, Ugo La Malfa e l’anziano Ferruccio Parri, il leggendario Maurizio della Resistenza. Ma tra i suoi incontri, ecco anche Herbert Marcuse ( che nel luglio del ’68 parla in un teatro dell’ Eliseo gremito sino al’inverosimile), Sartre e Simone de Beauvoir (intravisti, ormai pseudorivoluzionarie ombre di se stessi , una settembrina serata del ’76 a Piazza Navona). Giulio Seniga, negli anni ’50 fuggiasco cassiere del PCI (con soldi e documenti del partito), già uomo di Pietro Secchia (il leader che alla linea ufficialmente legalitaria di Togliatti contrappose a lungo, nel dopoguerra, ambigui sogni di insurrezione armata, sul modello dei comunisti greci),e poi molto vicino a Ignazio Silone.
Tra le cose piu’ interessanti di questa lunga cavalcata, il frequente riferimento non solo a politica e cultura “ufficiali”: ma anche a fenomeni a torto considerati “minori”, come la musica pop, rock e dei cantautori, da De Andrè a Guccini, da Battisti a Ivan della Mea. Ma il momento piu’ bello, diremmo, sono le pagine dedicate a un afoso pomeriggio di fine agosto del ’64: quando il giovane Luigi, ancora studente liceale, proprio come Totò e Ninetto Davoli nel pasoliniano “Uccellacci e uccellini”, incappa nella vera e propria fiumana di gente che da S. Maria Maggiore scende verso Piazza S.Giovanni per i funerali di Palmiro Togliatti. Quell’incontro (che nell’immediato gli fa perdere le due ore di ripetizioni scolastiche all’ EUR) è determinante per Luigi, sino ad allora mai interessatosi di politica: è non solo l’impatto improvviso con la Storia, ma anche la sua “Via di Damasco”, l’intuizione che non si può vivere solo nel proprio, meschino, guicciardiniano “particulare”.
di Fabrizio Federici