Al Teatro “Del Vascello”, al quartiere Gianicolense, un grande Cosimo Cinieri, per la regìa di Irma Immacolata Palazzo, ha portato in scena “Il grande inquisitore”. Adattamento teatrale (scritto dalla stessa Palazzo) d’un celebre capitolo, avente però autonoma dignità, de “I frateli Karamazov” di Dostoewskij. Siamo nella Russia dell’ultimo trentennio dell’ Ottocento, già scossa da fermenti rivoluzionari.
Ivan, uno dei protagonisti del romanzo (Nicola Vicidomini) informa la sorella Aljosa (Roberta La Guardia) d’aver scritto un poema tra lo storico-religioso e il futuribile.
Tema: una seconda venuta di Cristo sulla terra, decisa per dare una seconda “chance” a un umanità che, nei secoli trascorsi dalla sua crocifissione, tutto ha fatto, fuorchè seguire il suo Verbo: mentre persistono guerre, povertà, ingiustizie planetarie. Ed ecco che questa “storia nella storia” ci trasporta nella Spagna del Cinquecento, esattamente a Siviglia, mente infuria l’Inquisizione spagnola (dipendente direttamente dalla monarchia), con la sua caccia a streghe, maghi, eretici, ebrei, oppositori politici.
Le luci e una scenografia ridotta all’essenziale ricreano pienamente la claustrofobica atmosfera dostoewskiana della cella dove Gesu’ è stato rinchiuso, per la seconda volta, da un potere che ha subito captato la pericolosità del suo messaggio rivoluzionario nonviolento. Solo che adesso siamo nel XVI secolo, e al potere cisono uomini che, formalmente, si richamano proprio al messaggio cristiano.
Rappresentati, in questa cella, da un cardinale grande Inquisitore, quasi novantenne (Cosimo Cinieri, appunto). Malcelando l’imbarazzo per essere stavolta lui Pilato,l’ Inquisitore interroga un Cristo che esattamente come già fatto, secoli prima, col procuratore romano si limita a non rispondere. Ma il contesto, ovviamente, è ben diverso da quello del primo scontro di Cristo col potere.
L’inquisitore gli rimprovera soprattuttodi non aver capito che la grande magggioranza degli uomini, in realtà, da sempre non sa che farsene della libertà, che costringe ad affrontare veramente la vita quotidiana, a scegliere da uomo libero, appunto, ogni giorno. E preferisce, invece, la rassicurante quotidianità della schiavitù se non formale, sostanziale, con la perpetua delega d’ ogni importante responsabilità ai governanti, e a una ristretta elite che controlla, da sempre, le risorse del pianeta (Dostoewskij ha ben presenti i celebri paradossali ma non tanto episodi di rivolta degli ex-schiavi delle colonie francesi tra Sette e Ottocento, improvvisamente liberati dai nuovi governi, e spaventati dall’improvvisa libertà).
Ma al momento di pronunciare la condanna, l’ Inquisitore, diversamente da Pilato, si sentirà spiazzato dalla perdurante mitezza del Cristo: e preferitrà lasciarlo andare libero, pregandolo di non riprendere piu’ la sua predicazione.Cristo, voltandosi per andare via,si rivelerà essere interpretato, su questa scena, da una donna ( la soprano Bibiana Carusi): scelta lungimirante, da intendere a conferma dell’assoluta lontananza di Dio da qualsiasi parametro fisico umano ( come ribadito, ad esempio – rispettivamente prima e dopo Dostoewskij – dal filosofo ebraico medioevale Maimonide e dallo sfortunato Papa Luciani).
Le coreografie di Paola Maffioletti edegli allievi della Scuola di teatro “Fondamenta” ricreano, all’inizio, un atmosfera da”Jesus Christ Siuperstar”. Lo stesso Cinieri, infine, interrpreta Gesu’ in un video di molto tempo fa (anni ’80?), ripresa d’una sacra rappresentazione della Passione sullo sfondo d’una desolata, pasoliniana periferia urbana.
Fabrizio Federici