Ci invitano a riflessioni profonde le opere di Eugenio Cannistrà. Il pittore, la cui attività ha attraversato con estrema incisività il panorama artistico contemporaneo, ci accoglie nel suo studio sul litorale laziale, a Cerenova, dove custodisce parte di quella vasta produzione con cui, negli anni, ha affrontato ed espresso tematiche complesse e delicate.
Nelle sue opere Cannistrà condensa e sintetizza quella che è la sua fonte di ispirazione, la realtà che vive, di cui è partecipe e che ci restituisce attraverso un’espressività schietta, immediata, ricca di impeto e mai meramente imitativa. Il messaggio -che sempre nobilita la dignità umana- sin da subito esplicito, comunica all’occhio attento dello spettatore una valenza contingente ma anche e soprattutto universale in quanto manifestazione di quelle dinamiche esistenziali con cui l’uomo costantemente convive.
Le nature morte, più propriamente “composizioni”, come le definisce l’artista, comprendono oggetti tratti dalla vita domestica per lo più di stampo rurale. La loro collocazione nell’opera, che il pittore determina con rapidità e cura, testimonia l’importanza del tratto potente ed energico e soprattutto la rilevanza che assume la luce al centro della tela, emblematica presenza di vita e costante affermazione di uno studio e di una conoscenza approfondita delle applicazioni e delle dinamiche artistiche e storiche. Ad uno sguardo d’insieme non può non succedere l’identificazione di elementi dal forte valore metaforico che, sempre, in questi lavori, rinviano ai principi costitutivi della vita.
Scuotono e colpiscono le tele dalle quali l’atto pittorico -mai fine a se stesso- si sprigiona rivelando ipocrisie, falsità e debolezze umane a cui costantemente fanno fronte la forza e la dignità che continua a dimorare negli individui. La prima sferzata di colore che colpisce la tela apre sin da subito la strada a ragionamenti e pensieri che non lasciano spazio all’indifferenza. Cannistrà mette a nudo l’uomo, senza mezzi termini, se non attraverso quella mediazione esclusiva che solo il gesto artistico può permettere.
Stordisce e tormenta la serie sulla povertà, una fase recente e importante del percorso del pittore. L’essere umano soffre e grida il suo dolore e il suo disagio di fronte alla doppiezza e alla noncuranza di personaggi dalle maschere grottesche. I corpi si contorcono, i volti trasfigurano mentre gli arti protendono alla ricerca spasmodica di sopravvivenza, di nutrimento. La potenza espressiva dell’artista si condensa nei soggetti che campeggiano al centro delle tele. Disperano e noi con loro. Implorano e noi con loro. Qui sono i tratti decisi e mai esitanti del disegno con cui Cannistrà libera le tinte forti mettendo in evidenza quella grandiosa sensazione di dignità che l’uomo preserva, qualunque sia il triste ruolo che occupa su questa terra.
È un anelito alla speranza divina quello che li induce a guardare in alto. Nel desertico paesaggio che lo accoglie, l’uomo con le mani legate, auspica la libertà dalle prigionie della vita che i cavalli al fondo della tela rappresentano e incarnano. Lo studio della luce si unisce alla dirompente forza plastica dei corpi che si manifesta anche laddove l’artista focalizza l’attenzione sulla vigorosa trazione di un braccio, come già avveniva nella serie dedicata a Gesù.
Ne “Il bacio di Giuda” il tradimento, inteso come l’inganno di cui troppo spesso gli uomini si servono per raggiungere i propri fini, si rivela nella slealtà celata sotto una parvenza di bonarietà del primo volto che si accosta ma non si unisce al viso che porge la guancia. La mano con il palmo rivolto verso l’alto da un lato contrasta con quella che stringe con avidità una borsa rotta da cui cadono le monete, oggetto terreno che, nonostante sia frutto e conseguenza di un avvenimento negativo, continuerà ad accrescere il suo valore.
Popolano la produzione dell’artista valori quali gli affetti e la famiglia. La maternità, tema ricorrente nelle opere, viene proposta nelle sue infinite sfaccettature. Emerge l’indissolubilità del legame d’amore dalla tela in cui la mamma stringe con affetto il figlio racchiusa nell’intenso vortice che richiama l’etimologia della vita.
L’energia espressiva si libera poi nelle linee forti ed essenziali che caratterizzano i disegni che l’artista, voracemente, realizza a getto nel suo studio. I tratti neri, veloci, definiscono le figure interrompendosi laddove suggeriscono e lasciano spazio all’intuizione dello spettatore. Nei segni vibranti delle mamme siriane strazia e addolora la donna che stringe, sofferente, i figli alle sue gambe. I corpi dinamici si muovono nella paura, circondati da perdite e burroni non solo fisici. I loro volti, imploranti, rendono palpabile la drammaticità del momento ma anche la costante speranza che alberga nell’uomo.
L’attività dell’artista prosegue ininterrottamente. Attualmente al lavoro su alcune installazioni, dal prossimo 28 aprile Eugenio Cannistrà realizzerà una personale presso le sale di Palazzo Ruspoli a Cerveteri.