Al “Quirino”, sino al 5 marzo, in scena un singolare esperimento di “teatro-canzone”: è “Quello che non ho”, sostanzialmente un “recital” in cui Neri Marcorè, per il Teatro dell’ Archivolto di Genova, recita e canta – accompagnato dalle voci e dalle chitarre di Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini – le canzoni di Fabrizio De Andrè; alternandole a brani di Pier paolo Pasolini. Un recital, quindi,che vuol rendere omaggio a due intellettuali scomodi del Novecento, ambedue controcorrente e incompresi dal loro tempo. Accomunati, oseremmo dire, in qualche modo anche nella morte: perché se quella di Pasolini, quel tragico 1 novembre 19575 all’ Idroscalo di Ostia, da tempo risulta sempre piu’ il frutto di sordidi intrighi politici, anche quella di De Andrè non è ancora pienamente chiara, nei suoi possibili retroscena (il cantautore per anni fu controllato dai servizi segreti, perché ritenuto vicino alle BR; mentre era uno dei principali sostenitori del Circolo anarchico di Massa Carrara…vedi, in rete, gli interventi, sui questo tema., del giornalista controcorrente Paolo Franceschetti).
Su un palcoscenico con una scenografia essenziale, quanto suggestiva (scene di Guido Fiorato, luci di Aldo Mantovani), Marcorè, padroneggiando la scena per un’ora emezzo, canta alcune delle piu’ signficative canzoni del De Andrè degli utlimi anni, da “Una storia svagliata” a “Don Raffae’ “, dall’ inquietante “Smisurata preghiera” (con l’ossessivo ritornello “La maggioranza sta…”)a “Quello che non ho”. Alternandovi brani del Pasolini degli “Scritti corsari”, soprattutto dei suoi articoli per il “Corriere della Sera”, e riflessioni appunto “deandreian-pasoliniane” su quel che è diventato l’ Italia di oggi, rispettivamente 42 anni e 18 anni dopo la morte degli autori di “Ragazzi di vita” e di “Bocca di rosa”. Il degrado politico, l’ancor piu’ impressionante degrado antropologico e culturale del nostro Paese, all’insegna dell’omologazione di massa e dell’ incredibile esasperazione di consumi e, prima ancora, di bisogni (capace di far impallidire anche le piu’ nere previsioni di Herbert Marcuse o Agnes Heller); lo sviluppo senza progresso ( come già osservava, cinquant’anni fa, Ignazio Silone in “Uscita di sicurezza”: con l’aggravante che oggi, sembra in via di sparizione anche lo sviluppo…!). Lo scempio ambientale, già forte ai tempi di Pasolini, negli ultimi decenni aggravatosi sino a produrre tragedie come quelle dell’ Ilva a Taranto, e della riduzione del Mediterraneo a discarica anche di scorie nucleari.
Drammaturgia e regìa di Giorgio Gallone, con la collaborazione di Giulio Costa; arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri. Uno spettacolo che fa indignare e commuovere (con sullo sfondo, aggiungiamo, un ultimo, pur inespresso, inquietante interrogativo: chi sono i Pasolini e i De Andrè di oggi?)
Fabrizio Federici