Dopo le escursioni in terra etrusca, alla ricerca di interessanti comparazioni archeologiche da Roma attraverso la suggestiva via Francigena, che fu prima la via romana che collegava Sutri, Vetralla, Viterbo, Bolsena e Orvieto con l’ Etruria meridionale, l’ interesse archeologico rappresentato dal nostro Giornale soprattutto sulle nuove scoperte, è ricaduto a distanza, ancora una volta sull’ Isola d’ Elba. Là infatti la disputa per il riconoscimento del mausoleo etrusco, di cui Paese Roma ha talvolta parlato, dà ancora spazio ad imprevedibili negazionisti di questa realtà.
L’ ipogeo etrusco – Si ritiene ormai, che il travisamento della vera natura di questo ipogeo sia arrivato al limite della immaginazione da parte di chicchessia, tanto da non poter trovare ulteriori supporti, o indebolire le attuali ragioni a sostegno del mausoleo etrusco. Tutto però, deve ancora avere una validazione istituzionale per affermare che quell’ipogeo sia effettivamente un sepolcro così architettonicamente scavato nella viva roccia. Naturalmente lo stesso concetto vale per la decantata zecca del Principato di Piombino. Su quest’ ultima ipotesi non vi è pressoché null’ altro da dire, oltre a quel poco che è stato detto; ma che proprio per questo, insistere ancora probabilmente non convincerebbe neppure le stesse persone che lo propongono. Non resta quindi da valutare quale peso abbiano gli argomenti contrari alle posizioni assunte a favore del sepolcro. Cos’altro vi sarebbe da dire, infatti, per disconoscere la natura di sepolcro etrusco a cui quel luogo è stato dedicato? La disamina contraria all’interpretazione dell’architettura sotterranea come tomba etrusca è stata recentemente fatta da un insigne cattedratico di etruscologia. Non resta, quindi, che valutare la consistenza degli argomenti trattati.
Pareri professionali – Prendiamo allora in considerazione le ultime verità apparse in un ampio resoconto di un insigne e etruscologo toscano, apparso nella rivista di storia dell’Isola d’ Elba : “Lo scoglio” del III quadrimestre 2016, che per la vita professionale dedicata alla ricerca della verifica dei reperti dell’antica Etruria sicuramente possiede esuberante esperienza e conoscenza per esprimere il suo autorevole parere sulla contestata questione dell’ipogeo di Marciana. Si parla infatti, del Prof. Luigi Donati, già ordinario di etruscologia presso l’Ateneo fiorentino nonché attuale Segretario generale del prestigioso Istituto di Studi Etruschi. Egli non crede che l’ipogeo cruciforme di Marciana sia una tomba etrusca. Ma contrariamente a quanto ci si attendeva da uno scienziato come lui, i suoi argomenti si rivelano diciamo…. poco convincenti, e pertanto abbastanza confutabili. Questa inconsistenza dimostrativa non poggia a sua volta sulle teorie di chi la critica, anche perché sarebbe presunzione ritenere di conoscere l’archeologia etrusca meglio del Prof. Donati. Le argomentazioni del Professore sono invece, facilmente confutabili da parte di chicchessia, solo facendo riferimento per archeologia comparata, ad altre situazioni analoghe e ripetitive ufficialmente classificate e confrontabili con quelle dell’ ipogeo di Marciana. Ciò consente infatti, di rendersi conto della singolarità di prese di posizioni alquanto fragili da non far evincere quale condivisibile spiegazione sottenda il parere espresso dall’ illustre cattedratico.
In teoria…… – Se come si suol dire, “Mille teorie non valgono un fatto”, è agevole rispondere proprio con il fatto che altrove i medesimi dettagli hanno consolidate e ufficiali spiegazioni diverse. Vediamo ora di cosa si tratta.
Donati afferma che la porta del dromos di Marciana si apre in un angolo dello sperone roccioso mentre per essere etrusca dovrebbe trovarsi al centro. Ebbene: l’ ingresso si trova proprio al centro perché la roccia granitica è visibile sia a destra che a sinistra, come succede in moltissime tombe etrusche.
Donati afferma che nelle tombe etrusche i bracci che portano alle celle laterali sono “sempre” molto corti, mentre Marciana li ha lunghi. Si può osservare che bracci lunghi esistono in tombe sicuramente etrusche come la tomba orientale di Castellina in Chianti, come la tomba 2 della necropoli di Colle val d’Elsa e come, addirittura, il famoso ipogeo dei Volumni a Perugia.
Donati afferma che la cella di fronte al dromos è “sempre” grande, e non piccola come quella di Marciana. Non è così: piccola è la cella, in asse con il dromos, di Castellina in Chianti e piccole sono le celle di almeno tre tombe della necropoli di Cavalupo a Vulci.
Donati afferma che la camera destra dell’ipogo di Marciana ha una pianta quadrangolare e una parete sghemba, perciò non può essere etrusca. Si può invece facilmente verificare che celle a pianta quadrangolare con pareti sghembe ci sono perfino in tombe etrusche molto celebri, come quella Francois di Vulci, o come quella dei Cai Cutu a Perugia, o come quella dell’Iscrizione a Chiusi.
Donati afferma che il toponimo ‘La Tomba’, che dà il nome a tutta l’area e alla via soprastante, non si riferisce all’ipogeo. E’ vero che si tratta soltanto di una questione lessicale; ma proprio su questo nome due illustri linguisti, come Remigio Sabbadini e il toscano Silvio Pieri, pensano invece, che quel toponimo ‘tomba’ significhi proprio sepolcro. Difficile è infatti, immaginare una diversa ragione nell’ attribuire secoli prima alla mappa del catasto Leopoldino significati astratti con quella denominazione, peraltro lugubre.
Donati afferma che non solo gli Etruschi ma anche i Sardi non hanno mai scavato il granito perché è una roccia troppo dura. E’ noto, il contrario. In Sardegna infatti, molti sepolcri ancestrali denominati “domus de janas” furono scavati nel granito, così come gli Etruschi, disponendo di utensili più raffinati e idonei erano certamente nella possibilità di ricavare una tomba nell’ambiente interamente granitico del monte Capanne.
Donati riferisce che che vi è anche l’ ipotesi che in questo ambente possa riconoscersi una sorta di “neviera”. Pur apprezzando il pensiero creativo di questo genere, resta però alquanto difficile condividere la funzione di neviera riferita ad una struttura architettonica crociforme senza drenaggio, costata anni di lavoro nel duro granito.
Le figure qui mostrate mettono in evidenza come erano concepite un tempo le neviere e anche le zecche. Questa recente storia dell’ipogeo è stata trasformata attraverso le critiche a sostegno dell’una o dell’altra ipotesi sulla sua natura, in una sorta di patologia della verità. Non resta ora da auspicare che proprio da questo suo massimo aggravamento regredisca il conflitto e si restituisca ai cittadini e agli appassionati di archeologia, il valore aggiunto dell’ipogeo nella sua autenticità di architettura funeraria etrusca. E’ pur possibile che qualche cosa sia sfuggita o sia stata anche fraintesa riportando in termini sintetici il pensiero altrui; ma sostanzialmente le divergenze restano.
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