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Proprio su questi temi ( composizione sociale degli immigrati in Italia e uso del velo), Co-mai, il movimento “Uniti per Unire” e #Cristianinmoschea presentano i loro dati, frutto d’una specifica ricerca, e avanzano proposte concrete. “Con le “Primavere arabe”, e i loro sogni e delusioni”, spiega Aodi, “dal 2011 in poi è iniziata quella che è storicamente la terza fase dell’immigrazione extracomunitaria in Italia: con un forte afflusso di immigrati in fuga da quei Paesi (dalla Tunisia e dall’area inclusa tra penisola arabica e Golfo Persico), per la maggior parte richiedenti asilo. Se guardiamo bene, è appunto in quest’ ultima fase che , tra gli immigrati, son nati i maggiori problemi d’integrazione( in passato molto minori): diverse di queste famiglie (almeno dal 5% al 7% circa) tendono a ripiegarsi su se stesse, a cercare nei valori tradizionali e nelle usanze dei Paesi d’origine un conforto ai problemi quotidiani. Ecco allora che in alcune di queste famiglie, con genitori il più delle volte over 50, non laureati e d’ estrazione più umile, prevalentemente contadina, possono verificarsi maggiormente i fenomeni del “Padre-padrone”, della madre succube del marito e dei figli. Sono soprattutto le donne a subire imposizioni (come appunto quella del velo): e nel 50% circa di queste famiglie, i figli hanno spesso difficoltà nel processo di alfabetizzazione, e si registra un tasso d’abbandono scolastico che supera il 50%”.
“Venendo alle proposte costruttive, come Co-mai, Uniti per Unire e #Cristianinmoschea”, prosegue il presidente Aodi, “proponiamo una serie di obiettivi, riassunti nel “Manifesto per la conoscenza e l’integrazione in Europa ” della Co-mai e di #Cristianinmoschea:
– No alle interpretazioni personali del’ Islam, che tendono a sfociare poi nei divieti assoluti(per il Corano, l’uso del velo non è obbligatorio, è una libera scelta);
– Sì alla possibilità, per ogni persona, d’essere sempre identificata , nel rispetto delle leggi italiane ( vedi anzitutto il Testo unico di Pubblica Sicurezza, in gran parte ancora in vigore, del 1931, N.d.R.), specialmente quando si accede a strutture sanitarie;
– No alle strumentalizzazioni della questione-velo, con cattiva informazione ;
– Verificare sempre le notizie, prima di metterle sui media per non alimentare ulteriormente l’islamofobia;
-Si alla buona Informazione per l’interesse di tutti;
– Sì ad una legge europea sull’immigrazione, che tuteli precisamente diritti e doveri degli immigrati, nel rispetto delle leggi dei Paesi ospitanti e nel rispetto reciproco tra immigrati e cittadini dei singoli Paesi, sul piano anzitutto culturale e religioso;
– No al multiculturalismo “fai da te”, demagogico e approssimativo, fallito in tanti Paesi europei (Germania, Francia , Belgio, Olanda, Inghilterra);
– Sì invece a multiculturalismo e politiche d’integrazione programmate, nelle scuole e nei posti di lavoro, in Italia e in Europa;
– No alle moschee e agli imam “fai da te”, sì a soluzioni precise concordate con Stato ed enti locali, e alle preghiere del venerdì anche’ in lingua italiana; No a ghetti e “bainlieue” fatti di soli immigrati;
– Sì all’inserimento degli immigrati nella società del Paese ospitante, con la necessità d’apprendere lingua, storia, diritto e cultura di quest’ultimo;
– Sì alla cittadinanza italiana temperata, ai figli degli immigrati e della seconda generazione;
-No,infine, a quanti (istituti, associazioni, personaggi vari, sia musulmani che convertiti all’ islam, ecc..) si autoproclamano improvvisamente voce o rappresentanti dell’ islam italiano; la rappresentatività va conquistata dal popolo e non nominata o delegata da terzi.
” L’ 80% dei 2 milioni circa di musulmani italiani, infine”, sottolinea Aodi, “è decisamente laico: a Co-mai e #Cristianinmoschea aderiscono associazioni, federazioni, comunità, centri culturali e membri del Consiglio supremo dell’Islam italiano che rappresentano il 95% degli arabi in Italia , l’80 per cento dei musulmani italiani e l’ 80% delle comunità d’ origine straniera in Italia. Nessuno tra loro ha mai parlato di obbligo del velo, né d’imporre le leggi islamiche, la sharia, in Italia o negli altri Paesi dell’Occidente”.
Nicola Lofoco, giornalista, collaboratore di Co-mai, e autore d’un saggio proprio sulla “questione velo”, “Quel velo sul tuo volto” (Les flaneurs ed., 2016) , precisa che “alcuni dei recenti casi esplosi a proposito dell’ utilizzo del velo non sono da ricondursi alla religione islamica, ma esclusivamente alle tradizioni culturali e familiari del Paese originario dei genitori delle ragazze in questione: sono problemi, insomma, da ricondurre solo alle usanze delle donne dell’area, diciamo, chiamata in causa”. “La libertà delle donne – aggiunge Elena Rossi, coordinatrice dipartimento donne di Uniti per Unire e portavoce di #Cristianinmoschea – si misura nella consapevolezza, nel rispetto e nella tutela dei loro diritti fondamentali; nella facoltà di scegliere, di aprirsi alla conoscenza ed istruirsi. L’appello che vogliamo rivolgere a tutte le donne, a prescindere dal loro Paese d’origine, dalla loro cultura o religione, è di essere le fiere portatrici di questo messaggio di pace e di libertà. Un messaggio che vale per tutte le madri e le figlie, per tutte le sorelle del mondo”.
“Nessuno può obbligare una ragazza a portare il velo”, ricorda Rami Badia, coordinatrice della commissione Donne della Co-mai: “nell’Islam, esiste la libertà di scelta”. “Da giovane ragazza italiana d’origine araba”, aggiunge Habiba Manaa, Coordinatrice del dipartimento Gioventù e Seconda generazione della Co-mai, “ricordo che il velo non dev’essere assolutamente un obbligo. Portarlo deve essere sempre una scelta: cosa che permette, da un lato, di rispettarlo, dall’altro di non alimentare facili islamofobie. Il primo passo per l’integrazione è rispettare e comprendere le scelte altrui: questo, anche proprio per essere un vero musulmano”.
Infine, Aodi si rivolge a Papa Francesco, pregandolo di confermare la sua visita in Egitto, in programma a fine aprile: “Per come lo conosciamo, sappiamo che questo Papa non ha paura; il suo coraggio è un faro per tutti noi. Papa Francesco è diventato un idolo per il mondo arabo e islamico e da lui ci attendiamo che chieda fortemente ad Onu e UE di difendere noi musulmani e di difendere anche i nostri amici cristiani in Medio Oriente e in Africa”.
(Fabrizio Federici)