Ha attraversato tutte le vie, accendendo le luci dei circoli e alzando i sipari dei teatri . Si è infilata negli scaffali delle biblioteche, barcamenandosi tra archi monumentali e banchi di chiese. In 250 luoghi della Capitale la musica ha corso la sua staffetta. L’intera città di Roma ieri, dal centro alla periferia, ha partecipato alla Festa Europea della musica con concerti che si sono svolti nelle piazze più popolari, in luoghi storici, istituzionali e in musei. L’ex centrale elettrica Montemartini, esempio di archeologia industriale riconvertita in sede museale, è uno di questi. Proprio qui, dove macchinari e chiavi inglesi convivono insieme a busti e mosaici, il jazz e il giornalismo si sono stretti la mano per la prima volta.
“The strange fruit”, era il titolo del brano che Billie Holiday cantava al Cafè Society di New York tutte le sere. Il fatto che fosse resa in musica, non rendeva meno aspra la denuncia contro il linciaggio subito dai neri, di cui la giovane era testimone ogni giorno, alla vista di corpi esamini appesi sugli alberi delle coltivazioni: gli strani frutti. Per quell’atto di coraggio, Billie fu minacciata e in seguito perse la vita.
Dalle analisi che emergono dall’Osservatorio di Ossigeno per l’informazione dal 2006 ad oggi, sono 3262 i casi di minacce, intimidazioni, ritorsioni nei confronti dei giornalisti italiani. Loro – ha ricordato il conduttore Vittorio Viviani – come la jazzista pagano la paradossale e duplice colpa di credere che in uno stato democratico debba vigere il dovere per i professionisti di informare liberamente e il diritto dei cittadini di essere informati oggettivamente.
Quale ritmo poteva addirsi al” Concerto per libertà di stampa e il diritto di essere informati” meglio del jazz, nato negli anni venti come fenomeno sociale degli afroamericani che trovavano conforto e speranza nell’improvvisazione di canti. A suonarlo la Scoop Jazz Band che ha trasportato il pubblico in un’atmosfera musicale elegante e ricercata, dai toni frizzanti ma sempre volutamente velati da una certa dose di malinconia. Variando dalla bossa nova al blues, c’è stato spazio anche per la celebre That’s life di Frank Sinatra e il pop di Nancy Sinatra e dei suoi These boots are made for walkin’ con cui la showgirl conquistò le classifiche mondiali e l’esercito americano, che volle adottare la sua canzone durante la guerra del Vietnam.
Sul palco in otto: Dino Pesole alla chitarra, Romano Petrucci al sax, Stefano Abitante alla tromba, mentre le voci di Donatella Cambuli e Massimo Leoni sono state accompagnate alle tastiere da Antonio Troise , Stefano Sofi alle percussioni e da Guido Cascone alla batteria.
Ad accomunare alcuni di loro non è solo l’eccezionale passione per il jazz ma il fatto di essere dei giornalisti. Suonano e divertono il loro pubblico con le stesse mani con cui ogni giorno scrivono articoli e danno forma ai fatti del mondo. Tutto- racconta Dino Pesole, “padre”della band –ha avuto inizio nel 2010; da allora, malgrado gli impegni, il gruppo non si è mai diviso e anzi, è cresciuto accogliendo al suo interno professionisti provenienti dal campo musicale.
Ad aprire la strada alla Scoop Jazz Band è stato Nicola Alesini uno dei jazzisti più in vista nel panorama italiano. Vittorio Viviani ha letto i telegrammi inviati per l’occasione accompagnato da lui. Il suono sincopato del suo sax, come un pianto strozzato ha fatto da sottofondo alle parole di dolore scritte dalla mamma di Ilaria Alpi , assassinata a Mogadiscio nel 1994. Sono passati 23 anni ma verità e giustizia non le sono stati ancora dati; pur tuttavia afferma che “la grande macchina dell’informazione continuerà a lottare per libertà di stampa”. Nicola de Palo, cugino di Graziella de Paolo parla di ferite che si riaprono ogni volta che avvengono aggressioni contro giornalisti e fa leva affinché possano essere restituiti almeno i suoi resti ai congiunti. Tanti anche i messaggi dai giornalisti come Lirio Abbate e Federica Angeli che da anni subiscono vessazioni e sono costretti alla scorta, ma che rivendicano il bisogno di fare informazioni dalle periferie, di formare giornalisti che preferiscano alla retorica i fatti e che siano capaci di seguire tracce e incrociare indizi facendo con scrupolo e onestà il proprio dovere perché “un giornalista che non da’ mai fastidio, non è un vero giornalista”.
La corsa della musica a Roma finisce qui, ma quella del giornalismo per la libertà di stampa continua ovunque, in ogni giornalista che a schiena dritta seguiti a impugnare penne e microfoni e in ogni associazione che gli fornisca ossigeno, quando qualcuno minacci di togliergli il fiato.