«Vogliamo avviare una riflessione seria su quel fenomeno che si chiama povertà e che ingloba tutte le criticità sociali attuali. Oggi le chiamano fragilità, quasi a dire calamità naturali, intangibili, imperforabili, insanabili. Noi non ci allineiamo a questo concetto che va tanto di moda e riteniamo fortemente che ciò non ha radici reali. Le povertà nascono dalle diseguaglianze sociali, certo, che essendo innanzitutto diseguaglianze economiche hanno dei responsabili precisi e facilmente individuabili.
Ne va presa consapevolezza richiedendo a tutte-i, ma soprattutto a loro, i colpevoli- governanti e governati – un cambio culturale che deve portare a innovare radicalmente le politiche sociali ed economiche. Perché, non lo dimentichiamo, le une sono interdipendenti dalle altre. Il sociale, che ad oggi viene considerato un inevitabile costo, va ripensato e visto invece come un investimento. Perché si possa incidere efficacemente sulle povertà il sociale deve diventare occasione di sviluppo e ripartenza dei territori.
Secondo i più recenti dati Istat, sono circa 13 milioni gli Italiani in stato di povertà. Tra questi, quasi 5 milioni sono in povertà assoluta. Questo significa che oltre il 20% degli Italiani non ha accesso a una vita dignitosa. Numeri allarmanti che tra l’altro non tengono conto delle persone a rischio povertà. Viene da se che reperire risorse finanziarie appare ora la priorità.
Diventa fondamentale individuare politiche economiche efficaci ed investimenti sociali innovativi. Non diamo più alibi ai governi assenti e agli amministratori incapaci (basta leggere le polemiche innescate nell’amministrazione locale dalle minoranze e maggioranze silenti, dove la proposta di evitare tagli di ore e posti di lavoro non è sostenuta da una visione reale e progettuale concreta).
Da tempo noi della Rete La Fenice sosteniamo che le emergenze possono essere affrontate in modo nuovo ed efficace. Partiamo, ad esempio, dai beni pubblici in disuso sparsi sul territorio e dalle norme che ne consentono l’utilizzo contenute negli articoli 24 e 26 del decreto Sblocca Italia del 2014, oltre che nella recente riforma del terzo settore, la 106 del 2016 per arrivare a replicare iniziative dove il denaro pubblico si mette insieme a quello privato. Così facendo si attiravano capitali privati da aggiungere a quelli pubblici che servono a finanziare i progetti ad impatto sociale.
E allora, se si vuole davvero far sì che il sociale diventi motore di crescita, necessita attuare quel piano di sviluppo sociale ed economico che veda lavorare insieme pubblico, privato profit, privato no-profit. Noi pensiamo a soluzioni giuridiche già sperimentate che riservino allo Stato non più il ruolo di gestore ma di partner al pari degli altri cotutori ( Fondo Italiano di Investimento delle Pmi) e che cambino il ruolo del no-profit da semplice beneficiario di risorse a parte attiva.
La proposta politica che sosteniamo assieme ad altre realtà associative italiane e Fondazioni bancarie, già oggetto di una proposta di legge da depositare alla Camera, è quella di “creare un Fondo di Garanzia, eventualmente con emanazioni regionali, che stimoli l’avvio di investimenti in progetti a impatto sociale ed economico, già avviati da tempo in altri Paesi, da parte di investitori istituzionali o privati disposti a impiegare parte del proprio capitale in attività sociali, per la garanzia pubblica sul ritorno del capitale investito. Sicuramente potrebbe dare un aiuto importante la legge di bilancio in preparazione in questi giorni, ad esempio inserendo una norma che abbassi la tassazione fiscale del risparmiatore che investe in obbligazioni a impatto sociale: anziché il 26% il 12,5% come per i titoli di Stato”. Sarebbe un segnale di grande cambiamento politico e i Comuni ne gioverebbero tutti. Forse però gli attuali amministratori piangerebbero di rabbia per non averlo capito per primi».
Giuseppina Bonaviri