Un lungo duello, inframmezzato da momenti di reciproca, malcelata ammirazione, pur da opposte sponde; duello seguìto a un prologo in cui i due personaggi avevano appena avuto modo d’ incrociarsi e “annusarsi” superficialmente. Così possiamo sintetizzare il lungo, altalenante corso dei rapporti – svoltisi soprattutto a distanza – tra Vladimir Lenin e Benito Mussolini. Corso che lo storico di fama internazionale Emilio Gentile, docente emerito alla “Sapienza”, studioso soprattutto del fascismo e del “Secolo degli orrori”, ha attentamente ricostruito nel saggio “Mussolini contro Lenin” (Bari-Roma, Laterza, 2017, pp. 263, €. 16).
Che ci sia stato un incontro diretto tra Lenin e il Mussolini socialista, rileva Gentile sin dalla prima pagina del saggio, non è da escludere: agli inizi del 1904, entrambi abitavano a Ginevra, dove il russo era giunto, da Londra, l’ anno prima, e il giovane agitatore italiano era arrivato il 30 gennaio (dopo aver girovagato per 2 anni nei vari Cantoni svizzeri). Il momento piu’ probabile è il 18 marzo 1904: in un convegno organizzato, in una birreria di Ginevra, per il trentatreesimo anniversario della Comune di Parigi, con intervento anche del futuro Duce.Piu’ di 20 anni dopo, nel 1926, Margheria Sarfatti , collaboratrice e amante di Mussolini, nella celebre biografia ufficiale di quest’ultimo, “Dux”, non avrebbe però confermato la cicostanza: riportando, tuttavia, il noto aneddoto su un Lenin che, giunto ormai al potere, avrebbe definito Mussolini l’ unico leader che, a suo tempo, avrebbe poturo realizzare una rivoluzione in Italia (aneddoto, però, di dubbia sicurezza, che ricorda l’altro celebre giudizio di Lenin – storicamente accertato – su Giovanni Gentile come unico pensatore borghese che aveva veramente capito il marxismo).
Sia come sia, Lenin e Mussolini effettivamente son stati due personaggi che, pur avendo preso strade molto diverse, si son spesso guardati da lontano, soppesati, attentamente studiati: come evidenziato da Gentile in questa sorta di plutarchiane “Vite paralelle” del leader bolscevico e del socialista divenuto poi Duce del fascismo ( un po’ come fatto, anni fa, da Alan Bullock col suo “Hitler e Stalin…”). Oltre alla Balabanoff, poi (che, anche lei amante di Mussolini, da lui chiamata all’ “Avanti!”, come redattrice capo, nel 1912, avrebbe rotto col compagno al momento dela sua espulsione dal PSI nel novembre 1914), altro importante “trait-d’union” tra i due fu Nicola Bombacci. Il socialista rivoluzionario che, negli anni della guerra civile in Russia, rincuorava lo stesso Lenin quando le cannonate degli eserciti bianchi facevano tremare i vetri dei palazzi bolscevichi di Leningrado; e che piu’ di vent’anni dopo, aderito alla RSI, sarebbe morto fucilato con gli altri gerarchi sul Lago di Como, gridando “Viva il socialismo!”.
L’ Autore ricostruisce l’ evolversi dei giudizi di Mussolini e degli uomini a lui piu’ vicini sul leader (e poi dittatore) bolscevico: esaminando soprattuto i tanti articoli e reportage dedicati alla Russia, dal marzo 1917 in poi, dal “Popolo d’ Italia” e da altri fogli della stessa area. Evidenziando, tra l’altro, che effettivamente, sino alla seconda metà del 1918 (quando il giornale cambia, sulla propria testata, la denominazione di “quotidiano socialista” in organo “dei combattenti e dei produttori”), la linea editoriale di Mussolini, in complesso, non è troppo diversa da quella di tanti socialisti dei Paesi dell’ Intesa, inizialmente contrari alla guerra ma poi fattisi interventisti democratici in odio all’ autoritarismo e al militarismo tedesco. In questo contesto, va inquadrata sempre l’ ostilità di Mussolini a Lenin, definito giustamente un uomo assetato di potere, giunto addirittura, per realizzare i suoi piani, a vendersi alla Germania ( che infatti, a marzo 1918 presenterà il conto ai bolscevichi, imponendo alla Russia la vergognosa pace di Brest-Litovsk). Il futuro Duce arriva persino, per contestare il sanguinario “esperimento” – marxista solo a parole – tentato in Russia da Lenin, a citare Plechanov, Karl Kausky e lo stesso Marx ( che, nella celebre opera minore “Rivelazioni sulla storia diplomatica segreta del secolo XVIII”, aveva diffidato i rivoluzionari suoi contemporanei dal cercar di realizzare il comunismo in un Paese come la Russia, ancora ben lontano dal capitalismo maturo). Il direttore del “Popolo d’Italia”, che ancora proclama la sua fede nel socialismo indissolubilmente legato alla democrazia, è persino contrario all’ intervento dell’ Intesa in Russia ( iniziato già nell’estate 1918, a guerra non ancora conclusa): giudicato atto puramente imperialista.
Poi, come in parte già accennavamo, tra il ’21 e il ’22, la prospettiva mussoliniana cambia radicalmente: il fascismo, nato nel marzo 1919 come movimento trasversale libertario e antistatalista, diventa, invece, autoritario e statalista.
Quel che non cambia ( ma parte, quindi, da basi assai diverse, prima da sinistra, poi da destra) è il giudizio totalmente negativo su Lenin e la mostruosa palingenesi tentata in Russia dai bolscevichi: non a caso costretti, dal marzo 1921 in poi, ad andare alla “Canossa capitalista”, riaprendo consistentemente, con la NEP, l’economia del Paese all’ iniziativa privata e al capitale straniero ( una politica simile, 60 anni dopo, sceglierà la Cina del dopo Mao, avviando il suo singolare esperimento di “Capitalismo comunista”). Poi, nei giorni della fine di Lenin (gennaio 1924), e, in parte, anche negli anni seguenti, il giornale mussoliniano correggerà parzialmente il tiro: riconoscendo comunque, al dittatore bolscevico, la tempra dell’ “uom fatale”, destinato a lasciare un segno indelebile nella storia come costruttore – pur con fallimentari risultati – d’uno Stato alternativo all’ odiata democrazia liberale.
Da qui partirà l’alternarsi, nella pubblicistica fascista degli anni ’20 – ’30, di due opposti modi di valutare la realtà sovietica, legati sia alla mera copertura di interessi geopolitici e commerciali che ad effettivi indirizzi intellettuali e ideologici. Da un lato ( guardando a destra) l’esaltazione del fascismo come mitico salvatore dell’ Italia anni ’20 dal pericolo bolscevico; dall’altro (ammiccando a sinistra), la sottolineatura, in fondo, d’un sottile “filo rosso” tra Italia corporativa e antidemocratica e URSS staliniana, ambedue protese alla costruzione d’una società alternativa a quella borghese, e alla realizzazione ( slogan che poi riprenderanno, com’ è noto, Hitler, Mao, Fidel Castro) dell’ “uomo nuovo”.
Fabrizio Federici