È un dialogo che ci immerge direttamente nell’arte della recitazione e nelle sue diverse sfaccettature quello con Blas Roca Rey. Incontriamo l’attore nella capitale, città nella quale fino a domenica 11 febbraio è in scena al Teatro Vittoria con “La cena perfetta”. “È la storia di un ristoratore siculo e una cuoca toscana che decidono di aprire un ristorante a Parigi -spiega- È un ristorante che va bene e va male. Va bene, perché è sempre pieno e si mangia benissimo, va male perché si mangia troppo bene e costa troppo poco e io sono un fanfarone che beve, spende, spande, compra le primizie, le materie prime migliori. Ma purtroppo siamo sempre in rosso”. Sul palco Nini Salerno, nel ruolo di un critico gastronomico, Monica Rogledi, Daniela Morozzi e Ariele Vincenti con la regia di Nicola Pistoia e il testo di Sergio Pierattini.
Argomento principe sicuramente il cibo, ma non solo: “È una commedia molto divertente in cui si riflette anche su cose meno comiche, come la fuga di talenti dall’Italia o i problemi dell’integrazione -continua- E comunque c’è anche il discorso del cibo che va molto di moda adesso, la televisione è piena di programmi, italiani o esteri, in cui se ne parla. Si affronta anche questo argomento ed è trattato secondo me in maniera corretta oltre che divertente”.
Blas Roca Rey scopre la passione per il teatro sin dalla giovanissima età. Al liceo, alla fine degli anni Settanta, in un clima di contestazioni e occupazioni studentesche, recita in uno spettacolo che affronta il tema del ruolo della figura femminile nella pubblicità. “Ebbi un’illuminazione perché mi resi conto che mi piaceva moltissimo essere guardato e ancora di più che ridessero di quello che facevo sul palco –commenta- Avevo 16 anni”. L’anno dopo si iscrive ad una scuola di teatro prima di entrare all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico: “Entrai a 18 anni e uscii a 21 –sorride- e poi non mi sono più fermato”.
Da quegli anni ad oggi il mondo del teatro ha vissuto dei cambiamenti: “La concezione del lavoro dell’attore è cambiata. Non puoi più essere una figura che sta ferma, che aspetta che squilli il telefono. L’attore, oggi, è imprenditore di se stesso”. E conclude: “Questo lato imprenditoriale non esisteva quando io ho iniziato: stavi a casa, ti chiamavano e lavoravi con una certa continuità”. E aggiunge: “Adesso è molto più complicato, sì, ma anche più stimolante, perché proponi delle cose che ti piacciono e quando le porti in porto è sicuramente una grande soddisfazione”.
Tra i progetti di Blas Roca Rey, “Vincent Van Gogh, le lettere a Theo”, spettacolo da lui ideato, con il quale la scorsa estate, nella capitale, lo abbiamo visto trascinare il pubblico in un coinvolgente viaggio nella vita dell’artista olandese. Spettacolo per cui, anticipa, prevede già altre date. “È una storia meravigliosa che io sento vicinissima –commenta- ci ho messo veramente tutta l’anima”. In questa interpretazione l’arte teatrale si è unita alle arti figurative, “sensibilità sorelle”, come le definisce l’attore. Il padre, Joaquìn Roca Rey, è stato un famoso scultore peruviano: “La prima volta che ho visto Venezia è stata alla Biennale del 68 –dice- Sono cresciuto in mezzo agli artisti sin da bambino, è stato molto stimolante, una bellissima infanzia, un humus che mi ha sicuramente formato e mi ha permesso di sviluppare una sensibilità che mi ha poi portato a fare l’attore, probabilmente”.
Paolo Miki D’Agostini