Jannis Kounellis un personaggio eclettico: dalla Grecia, suo paese d’origine, ai quadri informali su sfondo bianco degli anni ’60, alla libera interpretazione del fuoco, all’arte che si estende intorno a noi rendendoci partecipe. A vent’anni lascia la Grecia, dove è nato, per trasferirsi in Italia dopo aver contribuito al rinnovamento dell’arte negli anni sessanta. Allestisce la sua prima personale italiana alla galleria La Tartaruga, nel 1960, quando ancora frequentava l’Accademia, ma aveva già chiaro dove sarebbe arrivato: al coinvolgimento del pubblico, fondamentale per completare l’opera d’arte.
La sua ricerca, iniziata dal quadro nudo e puro, sfonda i limiti della pittura e sfocia presto nel rifiuto dei mezzi tradizionali. Il passo successivo e la svolta definitiva sono la performance e l’uso di materiali organici e inorganici, che rimandano comunque alla realtà, come ferro, legno, carbone, iuta, animali vivi, brandelli di carne. Nel 1969 espone dei cavalli vivi da Fabio Sargentini, a Roma, e rappresenta il conflitto ideale tra cultura e natura, in cui l’artista è ridotto al ruolo marginale di artefice e l’opera si realizza nella partecipazione e nella relazione tra pubblico e opera.
La storia per Kounellis è una misura, una proporzione dove costruire uno spazio, una dimensione in cui la storia diventa presente e viceversa. Una dinamica che ha sempre mostrato nelle numerose mostre nel mondo, e ciò è evidente anche in due più recenti nelle quali Kounellis cerca di spingere come la storia sia una dimensione materiale legata a una pratica fisica, non solo un concetto, ma anche un’immagine. Gli artisti infatti sono stati per la storia i testimoni attraverso la produzione delle immagini. Hanno immaginato la storicità del mondo, guardano come una figura di Giano al passato e al futuro contemporaneamente, creando nella simmetria temporale un luogo ideale dell’arte. Kounellis riesce a porre l’attenzione sulla relazione tra un passato a cui fare riferimento e un futuro che inevitabilmente vede ripetersi con cadenza periodica.
Nel 1972 Kounellis partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia.
Gli anni proseguono poi con le installazioni nelle quali alla vitalità del fuoco subentra l’oscura presenza della fuliggine mentre gli animali vivi cedono il passo a quelli imbalsamati.
Il culmine di questo processo è forse il grandioso lavoro presentato all’Espai Poublenou di Barcellona nel 1989, caratterizzato da quarti di bue appena macellati fissati mediante ganci a lastre metalliche e illuminati da lanterne a olio. Negli anni più recenti l’arte di Kounellis si è fatta virtuosamente manieristica e ha ripreso temi e suggestioni che l’avevano caratterizzata in precedenza con uno spirito più meditativo, capace di interpretare con una rinnovata consapevolezza la primitiva propensione all’enfasi monumentale. Esempi di questa nuova direzione di ricerca sono l’installazione del 1995 in piazza Plebiscito, a Napoli, e quindi le mostre in Messico (1999), Argentina (2000) e Uruguay (2001). Nel 2002, l’artista ripropone l’installazione dei cavalli alla Whitechapel di Londra e, poco dopo, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma costruisce un enorme labirinto di lamiera lungo il quale pone, quasi fossero altrettanti approdi, gli elementi tradizionali della sua arte, come le “carboniere”, le “cotoniere”, i sacchi di iuta e i cumuli di pietre (“Atto unico”). Nel 2007 lavora alla realizzazione del 383° festino di Santa Rosalia a Palermo disegnando il carro trionfale della Santa.
Jannis Kounellis era un ermetico romantico, vicino ad Ungaretti, anche nel cogliere il lirismo epico di Roma, unica città al mondo in cui poteva davvero far esperienza del “sentimento del tempo” e nel pensare tutto come conseguenza di un’illuminazione folgorante e rara, di una immagine che potesse poi tradursi in lingua.
Come lasciava scritto Ungaretti: “oggi il poeta sa e risolutamente afferma che la poesia è testimonianza d’Iddio, anche quando è una bestemmia. Oggi il poeta è tornato a sapere, ad avere gli occhi per vedere, e deliberatamente vede e vuole vedere l’invisibile nel visibile”.