A Roma, per iniziativa delle Gallerie d’arte “Il Laocoonte” e “W.Apolloni”, è stato ricordato Duilio Cambellotti (1876- 1960), l’artista veramente poliedrico ( incisore, xilografo, pittore, scenografo,architetto, decoratore, arredatore, designer, grafico, cartellonista pubblicitario, progettista di suppellettili, oggettistica e componenti d’arredo, scultore, ceramista e illustratore), inizialmente seguace dell’ Art Nouveau, che ha segnato come pochi altri il panorama artistico nazionale – e, in parte, europeo – tra le due guerre. A Cambellotti – nel contesto della mostra “Io sono Cambellotti “, che presso la galleria “Apolloni” in Via Margutta, sino a fine febbraio espone quadri, sculture, disegni, cartelloni pubblicitari, scenografie teatrali del maestro – sono state dedicate 2 serate: nella prima, il 1 febbraio, Francesco Tetro e Francesco Parisi han parlato, rispettivamente, di “Cambellotti e la guerra” e de “Le leggende romane di Cambellotti”. Nell’ altra, dedicata invece a “Gli arredi di Cambellotti”, il pubblico ha potuto ammirare una serie di mobili realizzati dall’artista ( ad esempio per il Palazzo dell’ Acquedotto Pugliese a Bari negli anni ’30) che tuttora colpiscono per la modernità del design e la varietà dell’ispirazione.
“L’ ostracismo mostrato piu’ volte, negli anni ’70- ’80, verso quest’ artista dalla critica tradizionale – ha ricordato, nella sua relazione, la critica d’arte Maria Paola Maino – nasceva anzitutto dalla sua partecipazione, negli anni ’30- ’40, a varie iniziative artistiche promosse dal regime fascista, ad esempio per la storica bonifica delle Paludi pontine ( zona dove , peraltro, Cambellotti – con altri intellettuali come Sibilla Aleramo, Giovanni Cena, Giacomo Balla – era stato attivo sin dai primi del secolo, impegnandosi per il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini)”. “Un ostracismo, questo”, ha aggiunto lo storico dell’arte Fabio Benzi, “che, partendo da motivi prettamente ideologici, ha colpito ingiustamente tanti artisti italiani della prima metà del ‘900, ora rivalutati dalla critica. E che, diciamolo pure , rientrava in quel piu’ generale fenomeno di rimozione di tutto quel che riguardava il Ventennio che, a guardar bene, spesso celava, in realtà, la pretesa di gran parte degli italiani di considerarsi estranei a quel che era successo in quegli anni, e soprattutto – col comodo alibi degli “Italiani brava gente” – ai massacri e alle pulizie etniche del tempo di guerra ( da notare che la voce su Cambellotti in “Wikipedia” si ferma, incredibilmente, al 1912, N.d.R.)”.
Contro quest’artista, infine, ha giocato anche quel tipico pregiudizio della nostra critica d’arte ( d’ origine sostanzialmente pseudocrociana) ostile alle arti applicate e al design destinato piu’ al mercato ( cose in cui eccelsero, invece, vari artisti del ‘900, da Depero a Sironi).
Fabrizio Federici