«Le donne non sono riserve protette, non sono vessillo di conquista o di supposta emancipazione. Dare spazio alle donne, ancor più se a quelle donne che vivono la loro normale quotidianità, in qualità di persone comuni che agiscono virtuosamente, ha un forte significato progressista. Sollecitare l’adozione spontanea di nuovi codici di comunicazione non ha semplicemente valore di questione di quote ma di un vero salto di qualità, di un avanzamento della democrazia paritaria, di cultura di genere diffusa.
Non si può continuare ad abusare di luoghi comuni che ci vedono prigioniere di pseudopartiti o di finte lotte progressiste spesso, purtroppo, agite proprio da quelle donne che rimangono ostaggio del potere maschile. Le strategie culturali e di dominazione di genere stanno involvendo ma la verità rimane che l’appartenenza al gruppo come il cognome si trasmettono per linea maschile: questo è il modello imposto ancora esistente. Allora non basta proporre sulla pelle delle donne ma bisogna, prima, imparare l’arte dell’ascolto e dell’accoglienza rispetto alle cosiddette minoranze per sentirti classe civile e classe politica liberata.
Necessita un grande apprendistato prima di avvicinarsi ad un gruppo “stigmatizzato” senza cadere nel precostituito rigido e questo, al momento se lo possono permettere poche-i elettie-i. Diversamente, anche i messaggi più alternativi serviranno solo a rinforzare gli stereotipi tradizionali. Continuare a credere che ci sono donne cattive e donne buone giova solo alla stabilità di un sistema logoro e rappresenta solo un elemento di controllo sociale. Si continua a perseguitare, così, l’autonoma delle donne mentre sarebbe meglio essere consapevoli dell’esistenza di questi modelli standardizzati per demistificarli e modificarli socialmente. Potremo, allora, pensare di cambiare il sociale solo quando disporremo di soluzioni adeguate al di là dall’approssimazione intellettuale o dell’uso improprio oltre i confini del “dirsi” donna.
Iniziamo dal modificare i linguaggi comuni per essere, intanto, al passo coi tempi. La lingua rispecchia la nostra cultura, dunque, le riflessioni sul modo di rappresentare il mondo donna attraverso il linguaggio e la storia è la ragione per la quale essa svolge un ruolo prioritario nel processo di costruzione dell’immagine femminile collettiva. Le donne possono e devono essere sempre in prima linea – insieme agli uomini paritariamente – se si vuole scrivere un nuovo capitolo d’epopea italiana.
Noi donne, che lottiamo per la giustizia, per la pace e per i diritti civili siamo sempre in prima linea, instancabili, e ben sappiamo che è solo un atto di giustizia che potrà lasciare spazio alla democrazia di genere fuori dalla sua negoziazione. Non vogliamo essere complici di un pregiudizio che ci vuole vittime di soprusi, qualunque essi siano, e fuori dalle strumentalizzazioni della mala gestione politica che continua ad enfatizzare quote rosa e “voto di coppia” pensiamo a fare Rete tra noi donne; questa è la condizione prioritaria per un serio e veloce mutamento.
Nell’ambito delle iniziative che la Rete La Fenice porta avanti è stato dato grande spazio e risalto alle criticità moderne dell’essere donna. Portare sul piano del confronto pubblico il dibattito, tra i giovani e nelle piazze, significa ora scavalcare i limiti dell’attuale dibattito politico sterile ed usurante. Perché le donne non basta solo guardarle.».
Giuseppina Bonaviri