Cos’è l’Anasyrma (“denudamento”) cioé l’antico rito di alzarsi le vesti e mettere a nudo le parti intime femminili?
Nasce al fine di cacciare le influenze negative e propiziare un buon raccolto; Le sacerdotesse della divinità Demetra eseguivano tali rituali.
Seppur di origini arcaiche, e dunque di molto precedenti alla cultura ellenica, in Grecia questa sacra gestualità era stata attribuita alla gaia Baubo, che attraverso la sua storia l’aveva insegnata alle donne. Racconta la leggenda che dopo il rapimento dell’amatissima figlia Persefone, Demetra vagasse desolata per i campi aridi, le strade polverose e le città, mentre la natura aveva smesso di fiorire, il grano aveva smesso di crescere, e sulla terra era calato un lungo e sterile inverno. Giunta a Eleusi, la Dea sedeva stancamente accanto a un pozzo, in preda alla disperazione e allo sconforto, quando le si avvicinò una donna per attingere dell’acqua fresca. Vedendo la bella Demetra con gli occhi umidi di lacrime e pieni di tristezza, ella con vivacità si sollevò il chitone e le mostrò l’intimità ignuda, danzando e dimenando allegramente i fianchi. A quella vista Demetra, dapprima attonita, non poté fare a meno di ridere, e con quel sorriso, il primo che aveva illuminato il suo viso dopo la scomparsa della figlia, la malinconia si alleviò ed ella ritrovò il coraggio di proseguire il suo cammino. Di lì a poco Persefone venne ritrovata e con il suo gioioso ritorno la terra ricominciò a germogliare, le foglioline spuntarono sui rami, i fiori si schiusero e la primavera esplose in tutta la sua floridezza.
Eppure anche Demetra doveva conoscere bene quel magico gesto, se lei stessa era solita compierlo per propiziare la crescita del grano dorato e per benedire la terra. Sollevando la leggera veste e offrendo alla vista “il biondo efebeion in cui celavasi la divina sorgente di vita”, ella “lasciava che da questa liberamente emanassero gli influssi fecondi sulla famiglia, sugli animali, sui campi”. E le sue sacerdotesse anasyràmenai, consacrate a lei e dunque depositarie della sua benefica magia, la imitavano, preparando in tal modo il terreno arato alla semina e scongiurando l’attacco infestante degli insetti nocivi.
Proprio ricordando il sacro anasyrma compiuto dalla saggia Baubo, e dalla radiosa Demetra, le donne di Licia lo ripetevano in loro onore, e con la sua energia apotropaica riuscivano a placare le più violente manifestazioni naturali. Si racconta che, una accanto all’altra, così che la loro magia femminile fosse più forte e immediata, esse mostrarono la loro intimità al mare furente che sbatteva le sue altissime onde ad infrangersi sugli scogli e ad invadere violentemente le spiagge. E il grande mare, dinnanzi a quella visione inattesa, si ritirò, e con lui si ritirarono i flutti in tempesta
Forse era anche per questo motivo se fra i greci e i latini si credeva che le donne, svelando la loro intimità e mostrandola al cielo plumbeo e minaccioso, avessero il misterioso potere di rasserenarlo, di calmare le bufere e di dissolvere le grigie nuvole riportando il brillare del sole.
Anche in Egitto, le donne compivano l’anasyrma in onore della Dea gatta Bubastis, che vegliava soprattutto sulla sfera sessuale e sull’intimità femminili.
Narra Erodoto che quando le donne, navigando il grande Nilo, si recavano numerose alla festa annuale dedicata alla Dea, esse si fermavano in ogni città che incontravano sul loro cammino e la attraversavano in rituale processione, suonando gioiosamente crotali e flauti, battendo le mani per tenere il ritmo, cantando, danzando in modo dolce e sensuale, gridando liberi motti alle altre donne egiziane che vivevano nella città, e alzando, fra allegre risa, le loro tuniche fin sopra alle cosce.
Anche qui, questo atto sacro aveva lo scopo di lasciar diffondere le magiche e amorose effusioni femminee; non solo, esso serviva anche come potente amuleto contro gli influssi maligni e profananti, che dal mondo esterno avrebbero potuto insinuarsi e rovinare quella delicata e splendida realtà muliebre. Così l’anasyrma apportava beneficio e fortuna alle città nelle quali veniva compiuto, e proteggeva tutte le donne e il loro piccolo mondo segreto.
Sempre in Egitto, anche la grande Iside era ritenuta maestra dell’anasyrma, ella che “nuda e divaricata”, lasciava “agli influssi benefici emananti dal segreto muliebre libertà di diffondersi per ogni dove”.
E la mitologia egizia narra che la stessa Hathor, Dea bovina
Allontanandoci dalle calde terre mediterranee, ritroviamo pressoché invariato il potente atto rituale, il quale veniva compiuto con le stesse finalità propiziatorie.
In India, madre dell’anasyrma è la splendida Maya, che mostrava l’intimo divino agli Dèi per risvegliarli dal loro sonno mortale. Racconta il mito che “gli dèi assopiti in un sonno di morte, svuotati di ogni loro virtù, precipitati in fondo alle acque per non avere riconosciuta la onnipotenza di Maya, vengono già scossi dalle magiche arti della Grande Incantatrice; ma solo quando ella solleva gli intimi veli e discopre ai loro sguardi il mistero della sacra ‘yoni’; solo quando essi, come i pellegrini nella corrente del Gange, si bagnano nel fiotto sgorgante da quella fonte segreta e se ne dissetano, solo allora si compie il miracolo del loro perfetto risveglio.”
In modo simile, l’anasyrma venne compiuto anche dalla Dea giapponese Uzume, mentre danzava sensualmente dinnanzi a tutti gli Dèi.
La leggenda narra di come la Dea del sole Amaterasu, furiosa per essere stata offesa dal fratello Susano’o, Dio della tempesta, si fosse rinchiusa in una grotta buia impedendo ai suoi raggi dorati di illuminare la terra. Senza la luminosità solare, il mondo era piombato in un’oscurità tetra e pesante, e a nulla erano servite le suppliche delle altre divinità per convincere la bella Dea ad uscire dal suo nascondiglio. Senza sapere più cosa escogitare per riportare la luce nel mondo, gli Dèi chiesero aiuto alla splendida danzatrice divina Ama-no-Uzume, la quale dapprima pose un grande specchio davanti alla soglia della grotta dove si nascondeva Amaterasu, e poi iniziò a danzare, e mentre danzava libera e selvaggia, si scoprì il bel seno e lasciò che la sua veste le scivolasse sino ai piedi, svelando la sua magica intimità e le natiche frementi.
Si dice che questo suo gesto provocò l’irresistibile risata delle “ottocento miriadi di dèi”, e che udendo quelle risa gioiose e scatenate Amaterasu, incuriosita, non poté fare a meno di sbirciare fuori dalla grotta per vedere cosa mai stesse accadendo. Fu così che per la prima volta vide se stessa riflessa nello specchio, e rimase così incantata da tanta luminosa bellezza che abbandonò il suo rifugio e tornò a splendere nel cielo, riportando la sua luce e la sua gaiezza a scaldare la terra.
Talvolta, durante gli antichi rituali agrari, alla magica gestualità dell’anasyrma si sostituiva l’assoluta nudità delle donne, le quali, con lo splendido corpo e il sacro mistero del tutto svelati, spargevano ancora più liberamente il loro armonioso potere generativo. Questo è ciò che accadeva in un rito agricolo che veniva celebrato prima della nascita di Roma, e che con la fondazione di questa imponente città si involgarì e degenerò, trasformandosi nella festa delle Floralia.
In questa meravigliosa celebrazione, chiamata Florifertum, si onorava la graziosa Dea Flora, madre della primavera, della germinazione, della fioritura, del risveglio della natura e regina di tutte le piante e dei cereali, e le vergini fanciulle, nude e libere, danzavano e passeggiavano e correvano felici per i campi seminati e per i bei prati, vestite solo di raggi di sole, cantando “ut omnia bene deflorescerent” – “affinché ogni cosa fiorisca bene”.
In tal modo la loro benefica energia fluiva dall’intimo segreto e si posava sulla bruna terra, aiutando i piccoli semi a germogliare, le piantine a crescere, i frutti a maturare.
La splendida magia femminile che le antiche divinità madri rappresentavano, e che le donne arcaiche facevano sorgere, coccolavano e preservavano nella loro sacra intimità, era dunque sempre la stessa, in ogni luogo e in ogni tempo, come si comprende da questi antichi miti così simili seppur appartenenti a culture diverse e molto lontane fra loro.
E l’istintiva gestualità dell’anasyrma era sempre ispirata da uno stato di luminosità interna, di felicità ed armonia così perfette e così intense da spingere le donne ad alzare le loro gonne per rivelare e mostrare quel divino tempio d’amore in cui quella gioia si concentrava di più, e la magia sbocciava e si sprigionava, riversandosi all’esterno e spargendo dappertutto grazia e bellezza.
Con il loro potere incantato, le donne che compivano il loro sacro gesto potevano infatti “far sorgere il sole”, ovvero riportare la luce, l’allegria, la leggerezza, la spensieratezza, e l’ilarità che vanifica ogni malumore, laddove erano calate oscurità, malinconia e sconforto.
Nello stesso modo, aiutavano la gentile primavera a fiorire, i boschi a ramificare e gemmare, le coltivazioni a fruttare, e allontanavano il grigio e spoglio inverno, sia nella natura vegetale sia nel cuore degli uomini.
Ed ancora, benedivano famiglie e città, placavano e raddolcivano le furiose tormente, ed esorcizzavano ciò che è malvagio, per ristabilire la quiete, l’armonia e la pace assoluta.
Non solo, esse potevano anche risvegliare il numinoso, scivolato in un sonno simile alla morte, proprio come Maya fece con le divinità dormienti; ovvero potevano forse richiamare e far risorgere la dorata scintilla divina che giace assopita nel centro dell’essere.
Quella scintilla che, se ritrovata e rimirata, guardando nei più profondi recessi di sé come in un magico specchio, potrebbe rivelare l’antica verità dimenticata, eppure mai del tutto perduta. La verità dell’anima antica che brilla come un piccolo sole nascosto in una grotta, e che se mai prendesse coscienza di se stessa e del suo esistere, ovvero se mai riuscisse ad emergere dal suo nascondiglio e a mostrarsi, potrebbe illuminare il mondo intero, come forse la raggiante Amaterasu volle insegnare attraverso la sua storia.