Una favola postmoderna. E al tempo stesso,una moderna rivisitazione della storia di Romeo e Giulietta. Queste, le principali caratteristiche di “Confessioni di uno zero”, singolare romanzo di Giovanni Di Iacovo (Roma, Castelvecchi, 2017, €. 16,50): giovane scrittore autore di saggi e romanzi, già tra i vincitori della Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo ( Serajevo, 2001), attualmente ricercatore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’ Università “Gabriele D’ Annunzio di Chieti-Pescara, e assessore alla cultura e Pubblica istruzione del Comune di Pescara.
“Confessioni” è un romanzo a dir poco singolare, che ruota intorno alla sfortunata storia d’amore di Vienna e Sebastiano (“nomen omen”… come non pensare al soldato romano, martire cristiano, eroe, tra l’altro, del bel film di Derek Jarman del ’76? Ma anche , parlando di rapporti affettivi, alla “coppia” “Belle et Sebastien” , dei telefilm francesi anni ’60 e del film di Nicolas Vanier del 2013). Ambientato tra gli anni ’90 e i nostri giorni, tra la Pescara di oggi ( importante fucina di cultura multimediale e al tempo stesso, diremmo col suo figlio Ennio Flaiano, città cosmopolita e inguaribilmente provinciale) e quella Londra che non è piu’ la “swinging London” anni 60-’70, ma è sempre – pur insidiata da Berlino – tra le capitali della cultura giovanile , “Confessioni” mescola abilmente ricordi dei grandi romanzi del ‘900 e fumetti d’autore, musica rock e pop, cinema, arte postmoderna e ricordi personali.
Narrando una storia d’ amore – quella, appunto, di Vienna e Sebastiano – dagli anni ’90, dai primi esordi della cultura giovanile postpunk, ad oggi, alla piena, libertaria esplosione dell’ universo, da un lato, punk-gothic- leather; e, dall’altro, gay-lesbian-transgender- BDSM. Fra le montagne d’ Abruzzo e il “Torture Garden” di Londra (mitico tempio della cultura BDSM), fra le spiagge di Pescara e le nebbie del nord Europa, fra Tarantino e Almodovar, Di Iacovo narra una storia che si dipana, per trent’anni, sino alla sua tragica conclusione. Con uno stile personalissimo, nervoso quanto fantasmagorico e cinematografico, punteggiato, di neologismi e costruzioni particolari che quasi ricordano Marinetti e Joyce.
Fabrizio Federici