E’ finalmente uscito anche nelle sale italiane “Wajib- Invito al matrimonio”: film del 2017 opera di Anne Marie Jacir, regista, sceneggiatrice e produttrice cinematografica palestinese, nativa di Betlemme; coprodotto da piu’ Paesi (tra cui Francia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti).
Interpretato dal celebre Mohammed Bakri, star del cinema mediorientale che ha lavorato anche coi fratelli Taviani e con Saverio Costanzo, e dal figlio Saleh, “Wajib” è, in sostanza, un “On the road”, che, però, rispetta rigorosamente la celebre unità aristotelica di tempo, luogo e azione. Perchè i due protagonisti, padre ( il vecchio insegnante Abu Shadi) e figlio (Shadi, che vive a Roma), pur muovendosi tutto il giorno in macchina, non escono da Nazareth: devono adempiere, infatti, il dovere del “Wajib”, cioè di consegnare personalmente , a tutti gli invitati, gli inviti al matrimonio della figlia – e sorella – Amal (Maria Zreik).
Sbrigare quest’incombenza – tipica d’una società, come quella palestinese, nonostante tutto ancora abbastanza contadina e patriarcale – permetterà loro di passare un’ intera giornata insieme, con una vera propria “abbuffata” di parenti e amici ( in un clima che ricorda anche certe atmosfere del nostro Sud), e incontrando anche varie disavventure. Al termine della giornata ( che ricorda, “mutatis mutandis”, quella di Leopold Bloom nell’ Ulisse” joyciano), compiendo il “nostos”, il viaggio di ritorno, avran modo di ritrovare sè stessi, riscoprendo – dopo anni – il proprio rapporto.
Durante le peregrinazioni, infatti, è venuto inevitabilmente a galla il confronto, e quasi lo scontro, tra le due diverse mentalità. Quella di Abu Shadi, un moderato che per tanti anni ha accettato di piegarsi a tanti compromessi con gli occupanti israeliani per poter assicurare una vita dignitosa alla sua famiglia( è separato dalla moglie, che negli USA s’è rifatta una vita coniugale) , e quella del giovane Shadi. Architetto che, a suo tempo, ha preferito lasciare la Palestina (dietro consiglio sempre del padre) e, a Roma, vive con una ragazza palestinese figlia d’un dirigente dell’ OLP, e non vuole accettare gli equilibrismi del padre. Sullo sfondo, la dura realtà quotidiana della Cisgiordania occupata da Israele nella Guerra dei Sei giorni: coi mille escamotages cui devono ricorrere, per vivere, gli arabi palestinesi, stretti tra l’ occupante e una leadership nazionale non sempre all’ altezza del proprio ruolo. Alla fine, però, padre e figlio sapranno comprendere ognuno le ragioni dell’altro.
Un film delicato, diremmo un “Monsoon wedding” piu’ serio e drammatico: già insignito di vari premi in festival come quelli di Londra, Locarno e Mar della Plata), e candidato, per la Palestina, all’ Oscar per il miglior film straniero. Senz’altro da vedere.
Fabrizio Federici