Quando lo sport diventa occasione di solidarietà: l’ex numero uno della Lazio, Nando Orsi, ha donato gli scarpini da gioco a tutti i ragazzi che compongono la squadra di calcio del Centro di Accoglienza La Pergola, riservato ai minori stranieri non accompagnati. Lo sport e la solidarietà sono un binomio vincente dentro e fuori il rettangolo di gioco, perché permette di regalare sorriso e speranza a chi nella vita ha avuto meno fortuna.
“Lo sport è un formidabile messaggero di valori. Lo sport non è solo allenamento e competizione: la pratica sportiva può essere una risposta efficace contro il rischio di esclusione e disagio sociale, è importante dunque educare le nostre giovani generazioni alla solidarietà. Il mio obiettivo, pertanto, è semplicemente ricondurre lo sport al suo originario significato sociale, educativo, formativo, perché diventi un’occasione per consolidare i valori dell’integrazione e dell’inclusione sociale – spiega il mister Nando Orsi – sostenendo anche i progetti rivolti a tutti i bambini che vivono purtroppo ancora in condizione di esclusione sociale e povertà”.
Le differenze sono, quindi un valore aggiunto nella società di oggi: “La cosa straordinaria è che siamo tutti noi diversi ed è solo grazie a questa diversità che riusciremo ad essere unici. Ogni incontro con le persone ci lascia qualcosa. Ogni persona è un mondo, con le sue esperienze, le sue caratteristiche, le sue parole”.
Una notevole iniziativa che è nata in occasione della presentazione, alla Feltrinelli di Latina, del suo libro “A mani nude”, edito da Ultra sport, scritto in collaborazione con la giornalista Susanna Marcellini e con il figlio, scrittore emergente, Gabriele Orsi. Un libro che non è la classica narrazione dei gol e delle belle parate, ma un vero contenitore di sensazioni, emozioni, ricordi legati anche alle vicende storiche del nostro Paese. E fare il portiere è un po’ una metafora della vita: dover prendere decisioni, dover osare, rischiare, superare i propri limiti, assumersi le proprie responsabilità. Tutte azioni che poi trasferiamo nella vita quotidiana.
“La vita e lo sport – spiega Nando Orsi – mi hanno insegnato che bisogna sempre aprire la mente. Non puoi rimanere fermo. Così tra i pali così anche nella vita. E la pazienza è una regola fondamentale. Il segreto di una squadra? La forza di un gruppo sta nel guardare un obiettivo con gli stessi occhi. Così mi hanno insegnato gli uomini di calcio che ho avuto la fortuna di incontrare negli anni”.
L’evento ha visto la partecipazione straordinaria di un grande numero 10 del calcio italiano, capitano e bandiera della Lazio, il golden boy Vincenzo D’Amico, che ha regalato aneddoti e racconti della storia biancoceleste.
Gabriele Orsi scrive nel libro che “le mani di mio padre odoravano sempre di erba”, restituendo un valore poetico allo sport. Come se quell’erba del campo di gioco ti fosse cucita addosso come una maglia. Una maglia come quella della Lazio. “I nostri tifosi ci hanno amato incondizionatamente anche negli anni della serie B – sottolinea l’ex numero 1 biancoceleste – perché la Lazio ha una storia tutta sua. Tra gioie, dolori, vittorie, retrocessioni e tragedie”. Una storia travagliata quella biancoceleste ma forse proprio per questo ancora più intensa di tante coppe e trofei: “La Lazio riesce a farti innamorare non tanto per le vittorie ma per la storia. Ho imparato ad avere rispetto per questa società, della sua storia, del suo passato. Senza passato non può esserci futuro. Nella Lazio tutto è storia, ti affascina con tutti i suoi personaggi, nessuno escluso. Io alla Lazio ho dato vent’anni di vita, ho dato il mio cuore”. Forse uno ci sarebbe davvero da escludere in questa storia, quel “Genio” che descrive, con un gergo preso in prestito dai Promessi Sposi, perché quel dirigente rievoca nel libro proprio l’Innominato del Manzoni.
Non a caso l’indimenticato Giorgio Chinaglia diceva che la Lazio, dopo la sua famiglia, era stata la cosa più bella che aveva avuto in dono da Dio. Nando Orsi, in carriera, ne ha avuti di presidenti, dal carismatico Dino Viola al vulcanico Aldo Spinelli, da Sergio Cragnotti a Massimo Moratti. compreso “l’integerrimo” Dino Zoff come lui lo definisce nel libro. Ma la foto sul suo profilo facebook lo ritrae proprio in compagnia dell’allora presidente Giorgio Chinaglia. “Un uomo buono, una persona leale, un uomo tranquillo, con alti valori morali. Un carattere burrascoso, perché passionale e istintivo. Purtroppo si fidò delle persone sbagliate”.
E riserva una dedica speciale nel libro a Marco Saltarelli, Stefano Chiodi, Angelo Cupini, Giovanni Pozza e Francesco Mancini “indimenticabili compagni di squadra che se ne sono andati troppo presto”.
I suoi racconti non avrebbero mai fine. Così pure le nostre domande curiose sui riti scaramantici di Juan Carlos Lorenzo, le goliardate di Paul Gascoigne, capace di presentarsi nudo davanti al mister Dino zoff nella hall dell’albergo o quando senza mutande se ne andava via in moto dal campo di allenamento solamente in accappatoio e ciabatte “ma quando riusciva a giocare era uno spettacolo di giocatore con delle giocate che ti lasciavano a bocca aperta”. Come pure ci piace soffermarci a chiedergli cosa si provava ad affrontare in campionato campioni del calibro di Maradona, Zico, Platini, Falcao, Rummenigge. O, semplicemente, farci raccontare il Roberto Mancini, prima giocatore e poi allenatore fino alla Nazionale di oggi. Allo stadio Olimpico il 14 ottobre del 1984 una spavalda Lazio con Orsi tra i pali fermò sull’1-1 il Napoli di Maradona e Daniel Bertoni, proprio con le reti di D’Amico e del fuoriclasse argentino, i due numeri 10 a confronto quel pomeriggio. “Peccato che al ritorno al San Paolo – precisa Orsi – andò molto diversamente con un 4-0 per i partenopei e una storica tripletta di Maradona…” che praticamente rese famosi entrambi, ognuno a suo modo visto soprattutto il funambolico gol dell’argentino dalla distanza.
Lo sguardo di Orsi si volge verso quei ragazzi. Sorridenti per il dono ricevuto. Non vedono l’ora di indossare gli scarpini nuovi. “Mai prendere nella vita qualcosa senza restituire nulla”: aiutare il prossimo significa ricambiare quello che la vita ti ha donato. Ma nel libro sottolinea anche come per i giovani i valori, i modelli, gli stili siano cambiati nel corso degli anni. Ed alcuni di quei valori andrebbero recuperati. “Viviamo in una generazione in cui i giovani cercano traguardi facili, successi veloci e poche volte sono capaci di contemplare la fatica di acquisire le competenze che li potranno far diventare uomini solidi. I risultati, come nel calcio così nella vita, arrivano solo se dietro c’è il lavoro, quello duro. L’unica certezza è dare sempre tutto quello che si ha”
E nella vita si può anche sbagliare. E dall’errore si deve ripartire per migliorarsi. “Ogni caduta, ogni scelta sbagliata è servita a farmi trovare una parte di me stesso. Quella parte migliore che non pensavo di avere”.
Per essere un portiere bisogna essere davvero un po’ speciali. E lui ha dimostrato di essere un numero 1 speciale, dentro e anche fuori il rettangolo di gioco. Questa è la parata più bella.